I SEGRETI DEI VEDA
© The Bhaktivedanta Book Trust, 2011
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“Questo sapere è il re di tutte le scienze, il più segreto dei segreti.
È la conoscenza più pura, e poiché permette di realizzare con percezione diretta la propria vera identità, è la perfezione della religione. Questa conoscenza è eterna e si applica con gioia.”
(Bhagavad-gita 9.2)
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I SEGRETI DEI VEDA
basato sugli insegnamenti di sua divina grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada maestro spirituale fondatore dell’Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna
The Bhaktivedanta Book trust
INTRODUZIONE 7
L’IO CHE NON CAMBIA MAI 12
DIO E LE SUE ENERGIE 17
SI PUÒ ATTRIBUIRE UNA DATA AI VEDA? 22
PERCHÉ E COME MEDITARE 26
QUATTRO FATTI SERI DELLA VITA 32
QUANTO SIAMO LIBERI? 37
IL PROBLEMA DEL PARADISO 46
LAVORARE SEMPRE E NON PREGARE MAI 52
TEMPO AL TEMPO 59
IL TERMINE DOVERE È UNA BRUTTA PAROLA? 67
OCCHI PER VEDERE DIO 74
MANCHERANNO SEMPRE DUE DITA PER CAPIRE L’UNIVERSO 82
CADERE PER FIDO 85
AL DI LÀ DELL’ECOLOGIA 90
SCAMBI D’AMORE 92
LA TECNOLOGIA MANCANTE 95
L’INFALLIBILE GIUSTIZIA DEL KARMA 103
PARLANDO DI PERSONA 111
VEGETARIANESIMO SPIRITUALE 114
KRSNA È IL PADRE, CRISTO È IL FIGLIO 118
COSA C’È DI SBAGLIATO NEL SESSO? 127
TRE TIPI DI YOGA, TRE RISULTATI 134
SINTESI DELLA GITA 140
IL MANTRA HARE KRISHNA 150
BIOGRAFIA DI A.C. BHAKTIVEDANTA SWAMI 151
GUIDA ALLA PRONUNCIA DEL SANSCRITO 153
INTRODUZIONE
Nella società laica odierna è di moda considerare la letteratura sacra come un insieme di fantasticherie mitologiche per persone sottosviluppate. A scuola s’insegna che con le nostre attuali conoscenze di fisica, medicina, psicologia, democrazia e via dicendo, queste scritture non hanno utilità se non come forme d’arte letteraria. Coloro che seguono le scritture alla lettera sono bollati con termini dispregiativi come quello di “fondamentalisti”. Va di moda prendere in prestito alcune idee dalle scritture vediche – lo yoga, la meditazione, il canto dei mantra – ma vivere secondo le leggi delle scritture è considerato antiquato e semplicistico.
Una ragione per cui le persone rifiutano il vero significato delle sacre scritture è che la parola scrittura evoca in loro il ricordo di scomode austerità e penitenze oppure un insieme d’intricati rituali che poche persone potevano compiere e ancor meno capire. Inoltre, le scritture contengono storie fantasiose di miracoli e avvenimenti sovrannaturali che la scienza moderna ha da tempo screditato. E non sono le scritture opere di persone imperfette?
La realtà è che le scritture autentiche, se correttamente comprese e applicate, costituiscono una guida e un manuale d’istruzione per la vita umana e per l’universo. Sono l’opuscolo che contiene le procedure per districarsi nell’avventura della creazione materiale.
Dall’insieme delle scritture e della tradizione orale apprendiamo i metodi di elevazione spirituale, compreso il canto del santo nome del Signore. Attraverso le scritture veniamo a conoscere le vite dei grandi santi del passato, dei saggi realizzati e delle numerose manifestazioni del Signore. In realtà i contenuti delle scritture, sia scritti che orali, costituiscono la base per fondare e trasmettere una cultura illuminata.
È certamente vero che molti racconti delle sacre scritture appaiono frutto di fantasia per il nostro mondo fondato sulla scienza, ma molte attuali meraviglie tecnologiche solo poche decine di anni fa sarebbero apparse romanzesche e non accettabili. Non è quindi impensabile che società del passato possano aver avuto capacità ed esperienze oggi non disponibili. Per esempio, è praticamente impossibile ricreare l’antica architettura del Perù con i metodi moderni. Il fatto di pensare che la tecnologia abbia sempre progredito e non avrebbe mai potuto essere più sviluppata di quella di oggi, può non essere esatto. Anche la storia moderna insegna che l’antica Grecia era ricca di conoscenza che l’Europa perse nel Medioevo e che poi è gradualmente riemersa. Allora è ragionevole e logico ritenere che ciò che oggi è patrimonio di tutti, come la televisione e internet, possa andar perso e dimenticato in futuro per poi riemergere in seguito.
Oggi, inoltre, c’è anche una forte evidenza empirica dell’esistenza del sovrannaturale, ma poiché la scienza moderna non è in grado di spiegarla, viene di solito ignorata. I Veda, invece, con le loro informazioni sullo spirito e sulla materia sottile, forniscono una visione del mondo che rende facile accettare quello che è apparentemente impossibile. Per esempio, una volta compreso che lo spirito, cioè la vita, è indipendente dalla materia, è facile credere che esseri viventi possano vivere ovunque nell’universo e compiere ogni genere di cose straordinarie.
Una persona che ricerca una spiritualità genuina potrebbe lanciare una critica significativa alle scritture affermando che la maggior parte di esse si concentrano sulla ritualità e sul raggiungimento di profitti materiali. Krsna conferma questo modo di vedere quando dice al Suo amico Arjuna che coloro che hanno praticato lo yoga nelle vite precedenti sono al di sopra della gran parte delle ritualità contenute nelle scritture. La triste verità è che sono ben poche le persone interessate a un’autentica realizzazione spirituale, perciò Krsna e i Suoi grandi devoti danno, nelle scritture, istruzioni destinate a tutti i tipi di persone. Ci sono scritture diverse per diverse categorie di persone, che hanno inclinazioni e desideri diversi. E livelli diversi d’istruzione si possono trovare nella stessa scrittura.
A volte il Signore, un Suo rappresentante o Suo figlio possono insegnare le verità eterne a un livello inferiore o in modo celato secondo il tempo, il luogo e le circostanze in cui si trovano. Le scritture che nascono da questi insegnamenti possono ispirare qualcosa che non è la pura e immotivata devozione per il Signore, ma hanno comunque la funzione di portare gradualmente le persone al più alto livello di realizzazione. Sapendo che la perfezione, in generale, è ottenibile solo dopo molte vite, una persona assorta nella verità più elevata sostiene e incoraggia coloro che si trovano a livelli inferiori.
Le scritture autentiche, per definizione, provengono direttamente da Dio o da anime libere dalle imperfezioni e dalla tendenza a ingannare gli altri. Questa verità inalterata può scorrere attraverso una persona libera da desideri egoistici e unita a Dio, come la vista del mondo esterno può passare attraverso una finestra con i vetri puliti.
Non si dovrebbe però accettare qualsiasi scrittura come sacra solo perché essa dice di esserlo. Non è per niente auspicabile accettare una filosofia contraria al servizio di devozione offerto alla forma personale del Signore o qualsiasi altra filosofia che neghi l’anima, il Signore Supremo, il metodo per sviluppare amore per Lui e infine l’unione personale con Lui.
Una persona che segue le scritture più pure, respingendo le varie tradizioni materialistiche che vengono proposte come sacre e rispettando le scritture autentiche che sono di livello inferiore, deve nondimeno essere attenta durante lo studio dei testi sacri. Anche l’eterna tradizione di una rivelazione scritta od orale incontaminata può venire deviata da un’interpretazione dell’immaginazione o dall’uso improprio. Rispettare le scritture significa usarne il significato più chiaro e diretto possibile, studiando i comportamenti pratici dei puri devoti del Signore nel passato e nel presente. Possiamo avvicinarci alle scritture anche attraverso la guida di un maestro spirituale che ci dà indicazioni specifiche su ciò che è importante per noi nella nostra situazione attuale. Interpretare o applicare male le scritture può essere più pericoloso che negarle completamente. Un lupo mascherato da pecora è molto più pericoloso di un lupo autentico.
Dopo tante riflessioni e incertezze sulle scritture non sarebbe meglio cantare semplicemente
Hare Krsna, Hare Krsna, Krsna Krsna, Hare Hare, Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare
e dimenticare completamente le scritture? Per ottenere un vero beneficio spirituale dal canto dei mantra, e in particolare dal maha- mantra Hare Krsna, è necessario tenere in grande considerazione Krsna in tutte le Sue forme, comprese le Sue scritture. È vero che nell’era in cui viviamo, il kali-yuga, il canto da solo può portarci alla perfezione, ma dev’essere esente da offese, il che comporta un’attitudine di reverenza verso gli scritti sacri autentici.
Inoltre, quanto piacere e conforto c’è nelle scritture! Possiamo ottenere grande gioia e fiducia leggendo la Bhagavad-gita, le parole di Krsna stesso. E possiamo trovare un aiuto simile in opere di autori contemporanei – devoti che si attengono ai princìpi che Krsna ha insegnato e li applicano alle situazioni di tutti i giorni. Naturalmente, piacere e gioia non sono i soli motivi che ci portano a leggere gli scritti sacri. Noi abbiamo bisogno delle scritture.
Per accertare la verità non abbiamo altra scelta che basarci sulle facoltà dei nostri sensi e della nostra mente, e su quella degli altri. Questi strumenti, però, possono darci solo una conoscenza parziale e relativa. I nostri sensi, infatti, sono imperfetti, anche se rinforzati da meccanismi sofisticati. Facciamo errori per abitudine, per mancanza di attenzione o per tendenze inconsce. Siamo portati a ingannare, perfino noi stessi. E se identifichiamo il corpo con il sé, viviamo in una totale illusione. Le verità assiomatiche – punto di partenza per le conclusioni logiche e sensoriali – devono dunque provenire da una sorgente priva di difetti, se vogliamo basare le nostre azioni su una conoscenza perfetta.
Quando i fondamenti della nostra conoscenza provengono dalla Verità Assoluta, allora tutte le nostre azioni, compreso il canto del santo nome di Krsna, ci spingeranno rapidamente lungo il cammino verso di Lui. Ascoltare dalle scritture le descrizioni della superba bellezza di Krsna e le meravigliose attività del mondo spirituale ci darà ispirazione per agire con l’intenso desiderio di ottenere il Suo servizio d’amore. Compiaciuto del nostro desiderio, Krsna ci purificherà inondandoci con la Sua misericordia, e allora il nostro progresso sarà davvero rapido.
Attraverso le pagine di questo libro sarete introdotti a un nuovo modo di affrontare la vita, e molte possibilità si apriranno davanti a ognuno di voi. Scoprirete insegnamenti sulla spiritualità che si sono dimostrati validi per centinaia e centinaia di anni ma che sono rimasti finora relativamente sconosciuti. Alcune parti del libro potrebbero sembrarvi provocatorie, potrebbero non andare al passo con la conoscenza convenzionale, ma se leggerete l’intero libro con mente aperta, potreste rimanere piacevolmente sorpresi, perché mettendo in pratica le idee innovative in esso contenute potreste trovarvi a vivere una vita felice, una vita cosciente di Krsna.
L’IO CHE NON CAMBIA MAI
Conferenza tenuta nell’aprile 1968 dell’Università di Boston da A.C. Bhaktivedanta Swami, maestro spirituale fondatore dell’Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna.
La coscienza di Krsna, la scienza di Dio, è molto importante, perché ci permette di comprendere Dio e la nostra relazione con Lui. Certamente in ogni religione c’è qualche concezione di Dio: “Dio è grande”, per esempio. Tuttavia limitarsi a comprendere che Dio è grande non è sufficiente. Dobbiamo conoscere la nostra relazione con Lui.
Generalmente diamo per scontato che Dio debba soddisfare le nostre richieste, perciò coloro che credono in Dio di solito si rivolgono a Lui quando soffrono o quando hanno bisogno di denaro. Alcuni si avvicinano a Dio per curiosità, altri invece perché vogliono comprendere la scienza spirituale. Queste sono le quattro categorie di uomini che s’interessano a Dio, e tutte queste persone hanno compiuto attività virtuose nel passato. Se non ha mai compiuto buone azioni, una persona non può provare interesse per la scienza di Dio, perciò coloro che sono sfortunati, che sono trascinati dalle attività empie, non credono in Dio e non se ne interessano minima- mente. È molto difficile, dunque, per gli atei comprendere Dio.
Poiché la coscienza di Krsna è una scienza, persino un ateo può apprezzarla, purché sia intelligente. Atei o teisti, tutti sono coscienti. Questo è un fatto. Non importa se crediate in Dio oppure no: voi siete coscienti. Non appena pizzico una parte del vostro corpo, immediatamente protestate: “Qualcuno mi pizzica! Mi fa male!” Anche negli animali questa coscienza è presente. Ora, che cos’è questa coscienza? La Bhagavad-gita afferma: “La coscienza è ciò che pervade tutto il corpo ed è eterna.”
Come si può comprendere che la coscienza è eterna? Potete comprenderlo con la vostra esperienza pratica. Da bambini eravate coscienti, da ragazzi eravate coscienti, da giovani eravate coscienti, e con l’andare degli anni, mentre vi avviate verso la vecchiaia, resterete sempre coscienti. Il vostro corpo cambia, ma la vostra coscienza continua immutata. Non potete negarlo. Perciò la Bhagavad-gita dice: “La coscienza è eterna. Non viene annientata con la distruzione del corpo temporaneo.” Non appena la coscienza nel corpo viene meno, il corpo è morto. Che cos’è dunque la coscienza? È il sintomo della presenza dell’anima. Come un fuoco situato in un punto diffonde tutt’intorno luce e calore, così l’anima spirituale presente nel corpo diffonde la coscienza in tutto il corpo. Questo è un dato di fatto.
Dal vostro corpo di bambino a quello di ragazzo e poi a quello di giovane, la vostra coscienza continua. Similmente, la vostra co- scienza vi trasporterà in un nuovo corpo, e questa trasmigrazione da un corpo all’altro è detta morte.
Quando il vostro vecchio corpo non può più essere mantenuto in funzione, la coscienza dev’essere trasferita in un corpo nuovo. Quando i vostri abiti sono troppo vecchi, dovete cambiarli. Quando il corpo materiale è troppo vecchio per continuare a funzionare, la vostra coscienza viene trasferita in un altro corpo, e ha inizio una nuova vita. Così funziona la natura.
Purtroppo, però, il sistema moderno d’istruzione non prevede istituti per lo studio della coscienza o dell’anima spirituale, benché questa sia la conoscenza più importante. Senza la coscienza, senza la presenza dell’anima, il corpo non ha alcuna utilità. Sfortunatamente, mentre ci prendiamo molta cura del corpo, non abbiamo alcuna consapevolezza della coscienza o dell’anima spirituale. Questa ignoranza è causata da maya, l’illusione. Consideriamo con grande serietà tutto ciò che non è permanente – il corpo e le sue estensioni, che non esisteranno a lungo e saranno distrutti dopo un certo numero di anni – ma non ci preoccupiamo della coscienza eterna, l’anima spirituale, che trasmigra da un corpo all’altro. L’ignoranza dell’anima spirituale è la principale mancanza della civiltà moderna.
Finché non saremo coscienti della presenza dell’anima spirituale nel corpo, finché non ci informeremo sull’anima spirituale, tutte le nostre attività non saranno altro che una perdita di tempo. Lo afferma lo Srimad-Bhagavatam (5.5.5): chiunque abbia accettato un corpo temporaneo dev’essere considerato uno sciocco, e siccome tutti ci identifichiamo con un corpo temporaneo, possiamo dire che siamo tutti sciocchi. Ognuno di noi sa che un giorno o l’altro il corpo cesserà di esistere, eppure continuiamo a identificarci con il corpo. Questa è ignoranza, illusione. Praticamente tutta la popolazione del mondo è immersa nell’ignoranza, perché quasi tutti ignorano di essere anime spirituali che trasmigrano da un corpo all’altro.
Nessuno vuole morire, ma la morte crudele è imposta a ognuno di noi con la forza. La gente, però, non considera con serietà questo problema. Pensa di essere molto felice seguendo i princìpi della vita animale mangiare, dormire, accoppiarsi e difendersi. Oggigiorno la gente è molto orgogliosa del progresso compiuto, ma si preoccupa quasi esclusivamente di queste quattro attività. Secondo le Scritture vediche, invece, questo tipo di vita non è migliore di quello vissuto dagli animali.
La vita umana è fatta per progredire nella conoscenza. Che cosa significa? Significa conoscere se stessi, poter rispondere alla domanda “chi sono io?” Ogni società civilizzata racchiude in sé una serie di princìpi religiosi, siano questi musulmani, cristiani, ebrei, induisti o buddisti. E qual è lo scopo delle Scritture e dei princìpi religiosi? Comprendere la coscienza, comprendere l’anima spirituale e la ragione della sua caduta nella vita materiale condizionata, capire in che modo essa trasmigra nelle varie specie di vita, e come può liberarsi da questo ciclo di nascite e morti.
Esistono 8.400.000 specie di vita, e noi continuiamo a vagare da una all’altra. Soltanto quando si raggiunge la forma umana abbiamo la possibilità di rispondere alla domanda: “Chi sono io?” Se non comprendiamo chi siamo, perdiamo l’occasione d’oro rappresentata dalla vita umana. Non faremo che sprecare tempo a soddisfare le tendenze della vita animale: mangiare, dormire, accoppiarsi e difendersi.
Dobbiamo chiederci: “Io non desidero la morte, perché sono costretto a morire? Non desidero ammalarmi, perché mi viene imposta la malattia?” Anche quando una persona si ammala gravemente trascura in genere di porsi queste domande. Tuttalpiù si limita a pensare: “Beh, mi sono ammalato. Andrò dal dottore e mi farò dare delle medicine.” Ma nel più profondo del cuore non desideriamo affatto ammalarci e non desideriamo morire. Perché? Perché siamo eterni. La nostra vera posizione è la vita eterna, piena di felicità, senza morte, senza nascita, senza malattia. Chi non si domanda come fare per raggiungere questa posizione sta certamente sprecando l’occasione della vita umana.
La forma umana offre l’opportunità di raggiungere la perfezione più alta. Se non ci muoviamo verso questa direzione, non facciamo altro che sprecare questa opportunità. Mi riferisco in particolare alla vita umana con una coscienza e una cultura sviluppate. A questo stadio di sviluppo dovremmo chiederci: “Perché mi vengono imposte queste calamità?” Nessuno desidera subirle. In ogni città vedo i vigili del fuoco e le ambulanze che vanno e vengono per le strade. Chi vuole che la propria casa prenda fuoco? Chi vuole restare coinvolto in un incidente? Queste cose ci vengono imposte, ma nessuno si chiede: “Non desidero queste disgrazie. Perché sono costretto a subirle?” Non appena si risveglia in noi il desiderio di comprendere perché tutte queste sofferenze ci vengono imposte, c’incamminiamo sul sentiero dell’auto-realizzazione.
Per ora state cercando di risolvere questi problemi attraverso la cosiddetta ricerca scientifica, o la cosiddetta ricerca filosofica, ma la vera soluzione consiste nel correggere, ovvero purificare, la vostra coscienza. Purificando la coscienza, metterete fine al ciclo di trasmigrazioni da un corpo all’altro. Certo, magari ora siete contenti perché avete un bel corpo sano e vi godete la vita. Ma sapete quale sarà la vostra prossima vita? Non potete saperlo. Dovreste sapere però che la vita continua. La vita attuale è soltanto un lampo – un attimo nel nostro viaggio attraverso milioni di specie di vita. Il Movimento per la Coscienza di Krsna è destinato a purificare le coscienze, a mettere fine alla reincarnazione e a risolvere così tutti i problemi.
La coscienza di Krsna è molto semplice. Recitate queste sedici parole:
Hare Krsna, Hare Krsna, Krsna Krsna, Hare Hare, Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare
Vi chiediamo soltanto di recitare queste sedici parole. Da parte vostra non avete niente da perdere, e avete la possibilità di ottenere un guadagno illimitato. Perché non fare un esperimento? Non è difficile. Sebbene il mantra sia scritto in sanscrito, si tratta di una vibrazione trascendentale universale.
Se ci dedichiamo al canto di questo mantra, entriamo direttamente in contatto col Signore Supremo e ci purifichiamo. Se ci avviciniamo al fuoco ci scaldiamo, e se entriamo in contatto diretto con lo Spirito Supremo iniziamo la nostra purificazione. Così, se cantate Hare Krsna la vostra coscienza impura sarà purificata e voi saprete chi siete veramente.
Cantare Hare Krsna è il metodo indicato per pulire la mente da ogni sporcizia. E non appena vi sarete ripuliti, le vostre ansietà materiali avranno termine. La Bhagavad-gita (18.54) indica che non appena si raggiunge il livello della comprensione spirituale ci si libera da ogni ansia materiale. Non vi affannerete più alla ricerca del profitto, né vi dispererete per una grave perdita. Allora potrete vedere tutti sullo stesso piano, e la vostra perduta relazione con Dio, la Persona Suprema, verrà ristabilita. Comincerà per voi la vera vita.
Avvicinarsi alla coscienza di Krsna significa cominciare la vera vita e liberarsi dalla vita temporanea che consiste nel trasmigrare da un corpo all’altro. L’Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna è dunque un movimento molto importante. Cercate di comprenderlo. Abbiamo centri in tutti i continenti e vi invitiamo a venire da noi. Non si spende nulla. Vi chiediamo soltanto di venire a trovarci e di cercare di capire questo Movimento. Il metodo che utilizziamo è estremamente scientifico; non si tratta di una truffa. Cercate di capire con la logica, con il ragionamento, con gli argomenti. Siamo pronti a rispondere a tutte le vostre domande.
Questo Movimento è qui per il vostro bene; non si tratta di un’istituzione a scopo di lucro. Vuole solo rendere un servizio all’umanità, in modo che voi possiate capire la scienza di Dio e trarne beneficio. Noi non facciamo altro che presentarvi la coscienza di Krsna. Ora sta a voi accettarla. Grazie.
DIO E LE SUE ENERGIE
di A.C. Bhaktivedanta Swami, acarya-fondatore dell’Associazione
Internazionale per la Coscienza di Krishna
Krsna è la sorgente delle tre principali energie che costituiscono ogni cosa e sono sotto il Suo pieno controllo.
“L’energia di Krsna è spirituale e anche l’energia che costituisce gli esseri viventi è spirituale. Esiste comunque un’altra energia, chiamata illusione, che genera l’attività fruttifera. Questa è la terza energia del Signore.” (Sri Visnu Purana 6.7.61)
La Suprema Verità Assoluta è Bhagavan, Visnu, l’onnipervadente Persona Suprema. Poiché Egli è spirituale, anche la Sua potenza dev’essere spirituale. L’esempio è quello del sole e del suo splendore. Il globo solare è la riserva totale del calore e della luce, per cui la sua potenza lo splendore del sole è anch’essa calore e luce. Lo splendore del sole non è diverso dal sole.
Sakti significa potenza. Sakti saktimat abheda: “La potenza ha la stessa natura della sua sorgente.” La potenza di una persona non differisce qualitativamente dalla persona stessa. L’esempio è sempre il sole e il suo splendore. La potenza del sole è il suo splendore, il quale ha la stessa qualità del sole calore e luce.
Secondo la conoscenza vedica, Dio ha molteplici potenze. Nella creazione vediamo agire diversi tipi di energia. Prendete ad esempio le foglie di un albero. Alcune sono verdi, altre rosse, gialle o di colore misto. Anche i frutti hanno differenti sapori e i fiori hanno svariati profumi. Nella creazione c’è varietà, ma da dove viene la varietà? Dallo splendore del sole. Lo splendore del sole è sempre lo stesso, ma agisce in modi diversi perciò noi vediamo manifestazioni diverse. Questo è un semplice esempio materiale.
L’entità spirituale originale è Krsna. Nella Bhagavad-gita (10.8) Egli dice, aham sarvasya prabhavah: “Io sono l’origine di tutto.” Tutto ciò che viene da Krsna non è differente da Lui. Tutte queste manifestazioni colorate vengono da Krsna. Mattah sarvam pravartate: “Tutto proviene da Me.”
Tutto è sakti, potenza di Krsna. Su questo non c’è dubbio. Ma Krsna agisce in molti modi. Come? Nei Veda è affermato che Egli ha potenze illimitate perciò tutto si sviluppa in modo naturale, senza alcuno sforzo, ma dietro ogni cosa c’è sempre Krsna. Per esempio, noi vediamo crescere un fiorellino. Lo stelo è delicato e il fiore è variopinto. Questa, però, non è cosa ordinaria. Se siete pittori e volete dipingere un fiore simile, vi occorreranno molti giorni. Non pensate che il fiore si sia formato da solo. No. Queste cose non sono automatiche. Quando dipingete un fiore, dovete usare molta energia. Anche Krsna deve usare la stessa energia, ma per Lui è molto naturale: tutto accade solo per la Sua volontà, non deve sforzarSi.
Questa è la differenza tra le attività di Krsna e le nostre, nonostante noi, essendo parti di Lui, abbiamo le Sue stesse qualità. Se gli esseri hanno la stessa potenza di Krsna, qual è la differenza? La differenza è che le entità viventi sono soggette a cadere sotto l’illusione. Noi siamo piccolissimi, perciò siamo soggetti a spegnerci. Quando la scintilla è fuori dal fuoco si spegne, non ha più la qualità del fuoco, ma finché si trova nel fuoco la vedrete splendere e danzare. La qualità è la stessa. Il fuoco brucia e anche la piccola scintilla brucia. Al pari della scintilla, però, quando l’essere vivente non è più in contatto con Krsna si spegne, viene coperto dall’oscurità e la sua qualità spirituale sparisce. Non è esaurita, ma viene coperta per qualche tempo.
La qualità spirituale non può estinguersi perché è eterna. Continua ad esistere, ma a causa dell’ignoranza l’essere vivente passa da un corpo in un altro e poi in un altro ancora: è la trasmigrazione dell’anima. E finché non fa rivivere la sua coscienza originale, deve attraversare questo ciclo più volte. Deve lottare per l’esistenza nel tentativo di tornare alla sua posizione originale, che è splendente come la posizione di Krsna.
Questa è definita lotta per l’esistenza. Le persone cercano la felicità, ma voi vedrete solo persone che stanno lottando. Qual è il loro scopo? Diventare felici. Alcuni bevono, altri assumono intossicanti, giocano d’azzardo, qualcuno va al ristorante, al cinema, qua e là nel tentativo di diventare felici, ma a causa dell’ignoranza non ci riescono.
Noi ora siamo coperti dal corpo e pensiamo: “Io sono questo corpo.” Questa è ignoranza, avidya. Io non sono il corpo, ma devo essere guidato per arrivare a questa conoscenza: “Voi non siete il corpo, ma poiché avete desiderato dominare la natura materiale, vi trovate ora con un corpo materiale. Poiché avete desiderato mangiare escrementi, avete un corpo di maiale, poiché avete voluto creare problemi inutili, avete ottenuto il corpo di scimmia, poiché avete desiderato bere sangue fresco, avete il corpo di una tigre.” Tutto questo si chiama avidya. Non siamo né tigri, né maiali, né scimmie, né esseri umani, né americani, né indiani. Siamo anime spirituali. È necessario arrivare a questa conoscenza. Dall’ignoranza si deve arrivare alla conoscenza. Allora la nostra vita avrà successo.
Il nostro Movimento per la Coscienza di Krsna cerca di risanare la società umana. La coscienza di Krsna è difficile per coloro che hanno una mentalità da cani, gatti o scimmie. Costoro devono cambiare mentalità mediante la compagnia spirituale, il sat-sanga. Voi ascoltate gli sastra, le Scritture, e io parlo sulla base degli sastra. Questo è il sat-sanga. “Nella compagnia dei puri devoti è molto piacevole e soddisfacente per l’orecchio e per il cuore conversare sui divertimenti e sulle attività del Signore Supremo. Coltivando questa conoscenza si avanza gradualmente sul sentiero della liberazione, quindi ci si libera da ogni condizionamento materiale e l’attrazione per il Signore diventa fissa. Allora nasce la devozione vera e comincia il servizio devozionale.” (Srimad-Bhagavatam 3.25.25)
Col sat-sanga, in una genuina compagnia spirituale – conversando con le persone sante e unendosi a loro possiamo imparare a conoscere le illimitate potenze di Krsna. In loro compagnia gli argomenti che riguardano Krsna sono molto piacevoli al cuore e all’orecchio.
Diversamente, senza il sat-sanga, questo non è possibile. Se vi rivolgete a un maestro non autorizzato, le sue parole vi entreranno da un orecchio e vi usciranno dall’altro, perché nelle sue parole non c’è vita: per lui è solo un affare. Non si può fare affari con Krsna. Krsna non è disponibile a questo livello. Egli è il Signore. Non puoi usarLo al tuo servizio, sei tu a doverti impegnare al Suo servizio. “Krsna è il mio Signore e io devo servirLo. Non farò di Krsna uno strumento da usare al mio servizio.”
La Bhagavad-gita afferma che quattro sono i tipi di persone con un patrimonio di atti pii che si rivolgono a Krsna, ma le persone empie non riescono ad avvicinarLo. Perché solo poche persone scelte ven- gono ad ascoltarmi? Perché è necessario avere un patrimonio di atti pii. Altrimenti non è possibile. Non ci aspettiamo che tutti divengano coscienti di Krsna; questo non è possibile. È sufficiente però che ci sia un’unica persona ideale, cosciente di Krsna, per dare beneficio a migliaia di persone. Basta che ci sia un’unica luna nel cielo – non servono milioni di stelle – per illuminare il firmamento.
Le persone soffrono. Avvolte nell’avidya, nell’illusione, lottano per l’esistenza. Krsna viene dunque di persona a liberarle. Questo è il Suo compito. Il devoto di Krsna si assume il compito di Krsna e attraverso questo Movimento fa del bene alle persone a cui predica. Caitanya Mahaprabhu ha dato quest’ordine: “Istruisci ogni persona a seguire gli ordini che Sri Krsna ha lasciato nella Bhagavad-gita e nello Srimad-Bhagavatam. Diventa così un maestro spirituale e cerca di liberare ogni persona di questo paese.” (Caitanya-caritamrta, Madhya-lila 7.128).
Non diventare anche tu un guru mascalzone che s’inventa qualcosa d’immaginario: “Fai questo. Dammi un po’ di denaro e diventi Dio.” Non agire in questo modo. Insegna quello che Krsna ha detto e nient’altro. Qual è la difficoltà? Krsna ha detto: “Pensa sempre a Me, diventa Mio devoto, adoraMi ed offriMi i tuoi omaggi.” (Bg. 18.65) Insegna queste quattro cose.
“Diventa un devoto di Krsna.” “Come posso diventare devoto?”
“Vieni al tempio, offri i tuoi omaggi, stai in compagnia dei devoti e prendi prasada (cibo spiritualizzato).”
Qual è la difficoltà? E anche se nessuno viene, non c’è problema. Purtroppo le persone sono così degradate che non verranno. Noi stiamo offrendo molte opportunità: “Venite a trovarci e ascoltate parlare di Krsna. Prendete prasada, cantate e danzate, vivete una vita felice.”
Le persone però preferiscono diventare cani, gatti e maiali. Siccome si stanno predisponendo per questo scopo, nella prossima vita lo diventeranno. Lo preferiscono.
Il Movimento per la Coscienza di Krsna sta diffondendo e mettendo in pratica gli insegnamenti più elevati per il benessere del mondo. Le persone dovrebbero cercare di comprendere questo Movimento e unirsi ad esso per potersene avvantaggiare. Vi ringrazio. Hare Krsna.
SI PUÒ ATTRIBUIRE UNA DATA AI VEDA?
Questo colloquio tra Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada e uno studente britannico si svolse durante una passeggiata mattutina a Londra nel 1973.
Srila Prabhupada: Il messaggio della coscienza di Krsna proviene dal mondo spirituale. Non è di questo mondo materiale, perciò a volte la gente può fraintenderlo. Allora dobbiamo spiegarlo in modo chiaro. Le persone non riescono nemmeno a capire che cos’è l’anima. Grandi scienziati. Grandi filosofi. Non hanno alcuna conoscenza dello spirito e del mondo spirituale, perciò qualche volta hanno difficoltà a capire.
Studente: Recentemente ho fatto delle ricerche sulla datazione dei Veda. Alcuni archeologi sostengono che le prove provenienti dallo scavo di Harappa e di Mohenjo-Daro mostrano che in effetti la data dei Veda è molto posteriore a quanto si pensava prima. Ciò sembrerebbe privare i Veda di molta autorità, perché non apparirebbero più come la più antica Scrittura religiosa del mondo.
Srila Prabhupada: Veda non significa “religione”. Veda significa “conoscenza”. Quindi se lei può tracciare la storia della conoscenza, può ritrovare anche la data di origine dei Veda. Può rintracciare l’inizio della conoscenza?
Studente: Non lo penserei possibile.
Srila Prabhupada:Allora, come può ricostruire la storia dei Veda? Veda significa conoscenza. Prima di tutto deve scoprire la data dell’inizio della conoscenza, poi troverà l’età dei Veda.
La storia dei Veda ebbe inizio al momento della creazione del mondo materiale. Nessuno può indicare questa data. La creazione ha inizio dalla nascita di Brahma, e lei non può calcolare neppure la lunghezza di un solo giorno di Brahma. Durante la notte di Brahma l’universo subisce una devastazione parziale e durante il suo giorno si ricrea nuovamente.
Ci sono due tipi di distruzione. Una devastazione parziale si verifica durante la notte di Brahma mentre quella finale porta alla distruzione di tutta la manifestazione cosmica. Ma queste minuscole persone speculano sulle date dei Veda. È ridicolo.
Ci sono molti microbi che nascono la sera e muoiono appena inizia il giorno. Una sola notte è la durata di tutta la loro vita. Anche la nostra vita è così. Quale storia si può scrivere? Noi riceviamo la conoscenza vedica dalle autorità vediche. Non dovremmo essere filosofi-rana. Conosce la filosofia della rana?
Il dottor Rana non aveva mai visto l’Oceano Atlantico e qualcuno gli disse: “Oh, ho visto un’immensa distesa d’acqua!”
Il dottor Rana chiese: “È più grande di questo pozzo?”
Studente: Era al di là della sua comprensione.
Srila Prabhupada: Sì. Questi scienziati e pensatori sono come le rane che marciscono nei loro pozzi. Che cosa possono mai capire della conoscenza vedica?
Studente: Sì, lo so. Per cambiare argomento, mi chiedevo se lei si accorge che i Veda affermano che la forma più vera di vita, la più pura, è quella vissuta secondo natura, non contro natura come sembra che stiamo facendo nei nostri centri urbani.
Srila Prabhupada: Oh, sì. Vera vita significa minimizzare le attività fisiche in modo da risparmiare tempo per dedicarsi alla comprensione spirituale. Questa è la vera vita. La civiltà attuale, fondata sul concetto di vita basato sul corpo, è sul piano animale. Non è vita civile.
Athato brahma-jijnasa: la vita civile ha inizio quando una persona comincia a porsi domande sull’anima spirituale, ma quando queste domande non ci sono, quando le persone non sono in grado di chiedersi che cos’è l’anima spirituale, sono come cani e gatti.
La vita vedica insegna a liberarsi per quanto possibile dai disturbi provocati dal corpo. L’educazione vedica inizia dunque con il brahmacarya, il celibato. Vero? I mascalzoni, invece, non sanno controllare la vita sessuale. La loro filosofia è far sesso senza freni, e quando si verifica una gravidanza uccidere il bambino.
Studente: Sì.
Srila Prabhupada: Questa è la filosofia dei mascalzoni. Non sanno che si può essere educati a dimenticarsi del sesso. E se si dimentica il sesso, dov’è il problema dell’aborto? Ma non ci riescono. Perciò i Veda dicono, adanta-gobhir visatam tamisram: praticando senza freni il piacere dei sensi si scende gradualmente verso livelli di vita animale.
Una persona che pratica l’aborto, uccidendo il bambino nel grembo, nella prossima vita subirà una condizione simile, sarà messa in un grembo e qualcuno la ucciderà. Per quanti bambini ha ucciso sarà costretta a nascere ed essere uccisa altrettante volte. Così per centinaia di anni le sarà impossibile vedere la luce del giorno. Rimarrà nel grembo e sarà uccisa.
La gente non conosce le leggi della natura. Non si possono violare le leggi della natura come si violano quelle dello Stato. Supponga di uccidere qualcuno può cavarsela con l’inganno, ma non può sfuggire alle leggi della natura. Per quante volte ha ucciso, per altrettante volte dev’essere ucciso. Questa è la legge della natura.
Studente: Solo la settimana scorsa parlavo con un’infermiera che lavora in un reparto dove si pratica l’aborto in uno dei principali ospedali di Londra. È terribile. Alcuni feti sono a uno stadio così avanzato di sviluppo che chiaramente avrebbero un’alta probabilità di vita.
Srila Prabhupada: Non vi è dubbio. La vita comincia fin dal rapporto sessuale. L’essere vivente è molto piccolo. Per legge di natura, e secondo il suo karma, è mandato nel seme del padre e immesso nel grembo della madre. Le cellule dello sperma paterno e dell’ovulo materno si emulsionano e formano un corpo che è come un pisello. Poi, col tempo questa forma si sviluppa.
Tutte queste descrizioni sono contenute nella letteratura vedica. Nel primo stadio si manifestano nove aperture – gli orecchi, gli occhi, le narici, la bocca, i genitali e il retto. Successivamente si sviluppano i sensi, e in sei mesi e mezzo tutto è completo e la coscienza dell’essere vivente si sveglia. Prima della formazione del corpo, l’essere rimane privo di coscienza, come anestetizzato. Poi sogna, e infine gradualmente torna alla coscienza. In quel momento diventa molto riluttante a uscire, ma la natura gli dà una spinta e così esce. Questo è il procedimento della nascita.
Questa è conoscenza vedica. Nella letteratura vedica troverà tutto questo descritto perfettamente. Perciò come possiamo dire che i Veda sono soggetti alla storia? La difficoltà è che parliamo di cose spirituali, perciò per i materialisti talvolta è molto difficile capire. Proprio non ci riescono.
PERCHÉ E COME MEDITARE
Gli osservatori sociali dicono che la nostra società sta diventando sempre più meccanica, impersonale e indifferente alle necessità dell’uomo. In altre parole diventa sempre più difficile sentirci a nostro agio.
Perché la meditazione sta diventando così popolare al giorno d’oggi? Cos’è che fa sentire bene una persona mentre medita? Per rispondere a queste domande alcuni psicologi hanno intervistato un gran numero di persone che meditano, e la risposta che maggiormente riassume l’esperienza della meditazione è stata: “È come andare a casa.”
La “casa”, naturalmente, è un luogo felice e sicuro a cui sentiamo di appartenere e siamo amati per quel che siamo. La casa è piena di parenti e amici che ci sostengono. La casa ci protegge dai pericoli del mondo, e ci permette allo stesso tempo di apprendere quali sono le occasioni del mondo che ci possono procurare felicità. Sfortunatamente, oggi, il sentimento di essere “a casa” è sempre più raro.
Filosofi, psicologi e politici descrivono i nostri tempi con parole come “ansietà”, “disperazione”, “conflitto,” “guerra calda”, “guerra fredda”, e “scontro futuro”. Commentatori sociali ci dicono che la nostra società sta diventando sempre più meccanica, impersonale e indifferente alle necessità dell’uomo.
Persino nei paesi ricchi e relativamente sicuri, come gli Stati Uniti o l’Europa, le famiglie si spostano da un quartiere all’altro o da un appartamento all’altro, e se per puro caso si ottiene qualche forma di sicurezza fisica, rimane pur sempre un diffuso sentimento di essere senza casa. La gente non sa, in mezzo a un costante mutamento della società e a un grossolano commercialismo, dove riporre la propria fiducia, dove appoggiare il proprio cuore. Infine, persino le più semplici funzioni vitali, come bere acqua, mangiare e respirare, ci possono causare ansietà a causa della costante minaccia d’inquinamento.
È naturale per noi volerci sentire a casa. Tuttavia, come vediamo, questa nostra società che rincorre il consumismo a folle velocità fallisce nel darci quel sentimento familiare. Infatti, la società moderna spesso ci spaventa, facendoci alzare la pressione sanguigna, facendo fluire adrenalina e ci costringe a cercare energici soccorsi. Alcuni combattono la paura assumendo alcolici o droghe, altri cercando l’oblio davanti al computer o alla televisione. Purtroppo questo tipo di sollievo è temporaneo, superficiale e alla fine spiacevole. Smorzare la consapevolezza di un problema non lo risolve.
Nel cercare una soddisfacente soluzione più stabile a questi problemi, molte persone (inclusi dottori e psicologi) si sono rivolti alla meditazione e hanno ottenuto importanti risultati. Alcuni riferiscono che “la capacità di controllare lo stress aumenta con la pratica della meditazione”. Stanno scoprendo, in realtà, che la meditazione può migliorare in modo significativo la salute fisica e mentale di una persona. “Nella vita quotidiana di coloro che meditano vi è una maggiore efficienza ed entusiasmo.” E la meditazione procura tutto ciò senza alcun effetto nocivo.
Inoltre, quando leggiamo manuali di meditazione (La Bhagavad- gita così com’è, per esempio), troviamo che la pace della mente e il sollievo dallo stress sono solo piacevoli sottoprodotti associati al raggiungimento di una mèta più elevata di quella che si è prefisso colui che medita.
D’altra parte, come spiega la Bhagavad-gita stessa, la meditazione toglie alla persona l’ignoranza e le abitudini malsane in modo naturale, senza nocive repressioni, permettendole di sperimentare un piacere più alto. Per esempio le persone fumano, si ubriacano e s’intossicano perché ne traggono un certo piacere, ma durante la pratica della meditazione chi medita prova gradualmente livelli sempre più alti di un piacere interiore che supplisce al desiderio di sostanze malsane. Questo stesso principio vale anche quando si tratta di porre rimedio a reazioni psicologiche dannose, come l’ansietà, lo stress e la collera ingiustificata. La meditazione permette all’individuo di contattare le tendenze psicologiche sane già presenti in lui. Questa esperienza salutare è così intrinsecamente remunerativa che la persona che medita comincia a essere attratta naturalmente verso le salutari tendenze della vita di ogni giorno.
La sorgente di questo piacere superiore sperimentato nella meditazione è un sé liberato e illuminato. Sri Krsna dice nella Bhagavad-gita che questa condizione illuminata “è caratterizzata dalla capacità di vedere il proprio sé con mente pura e di gioire nel sé.” La Gita spiega inoltre che quando una persona medita collega la sua coscienza individuale a quella dell’Essere Supremo (Dio o Krsna) in un’amorevole relazione reciproca, esperienza illuminante che si sviluppa nell’ambito del suo potenziale più alto e diventa permanente. “Raggiunto questo livello”, dice la Gita, “non si è mai scossi, neppure in mezzo alle più grandi difficoltà. Questa è la vera libertà da tutte le miserie.”
Mentre si muove verso questa mèta, colui che medita ha letteralmente il sentore di “tornare a casa”, come spiega Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada. “Casa”, in questo contesto, significa che l’individuo realizza la sua vera identità ed è in grado di agire secondo questa consapevolezza. La meditazione, allora, non solo libera dall’angoscia, ma promuove anche l’espressione più completa dello spirito umano. O, come si suol dire, la miglior difesa è l’attacco.
Il metodo migliore per difenderci dallo stress, dall’alienazione e dal sentimento di essere senza casa, è adottare un metodo che ci dirigerà verso la giusta direzione, verso il “ritorno a casa”, al nostro vero sé e ad un’amorevole relazione con Krsna, Dio, la Persona Suprema.
LA TECNICA DELLA MEDITAZIONE
Per raggiungere gli effetti benefici della meditazione non è richiesto nessun adeguamento mentale o intellettuale, come per esempio l’accettazione a priori di una serie di credi. La vera pratica della meditazione illumina la coscienza al punto che l’individuo sperimenta la verità come esperienza reale di percezione diretta. In altre parole, la meditazione incarna lo spirito scientifico e non settario che attrae così tanto la gente moderna.
A questo punto sorge la domanda. Qual è la tecnica di meditazione che si adatta maggiormente ai tempi in cui viviamo? La sorprendente proliferazione di tecniche “alza-coscienza” ha confuso molta gente, ma se consultiamo ancora le autorità classiche in questo campo troveremo una rassicurante unanimità: sia i maestri rispettabili sia le Scritture raccomandano vivamente la meditazione sul mantra come il miglior mezzo per raggiungere la realizzazione spirituale e il piacere più elevato nell’epoca in cui viviamo. La meditazione con la recitazione del mantra è facile da apprendere e piacevole da praticare. Dopo aver letto le seguenti istruzioni, potete immediatamente iniziare a praticare la meditazione a casa vostra, senza incorrere in costose spese d’iniziazione.
LA MEDITAZIONE SUL MAHA-MANTRA
In India, 500 anni fa, Sri Caitanya introdusse la meditazione sul mantra iniziando liberamente tutti – senza distinzione di razza, religione o stato sociale – al canto del mantra più efficace per l’era moderna, un tempo il segreto Hare Krsna maha-mantra.
Maha significa “grande”, man significa “mente”, e tra significa “liberare”. Quindi, maha-mantra significa “la grande vibrazione sonora che libera la mente da condizioni indesiderabili”. Ascoltando semplicemente il suono di questo mantra una persona pulisce la propria mente da negatività psicologiche e simultaneamente coltiva qualità favorevoli.
Non c’è alcun bisogno di un mantra privato. Sri Caitanya democratizzò la meditazione rendendo il mantra Hare Krsna disponibile a tutti nei termini più liberali. Egli insegnava: “Non ci sono rigide regole per il canto...”
Una persona può cantare il mantra Hare Krsna in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, sia per sollevarsi dall’angoscia che per avanzare nella realizzazione spirituale. Tuttavia il mattino presto è un momento particolarmente favorevole per la meditazione. Inoltre la pratica della meditazione sul mantra Hare Krsna procede in modo più armonioso se le dedicate un tempo specifico nel corso della giornata. Destinatele un conveniente periodo di tempo che si adatta al vostro programma giornaliero e, se è possibile, incrementate la vostra pratica fino a un’ora o più. Potete organizzare la vostra meditazione in due sessioni, una durante il giorno e una la sera.
Per cantare il mantra Hare Krsna assumete una posizione comoda, certo non distesi (diventereste solo sonnolenti). Potete cantare seduti, in piedi o camminando. Potete tenere gli occhi aperti o chiusi, oppure alternare tra occhi aperti e occhi chiusi. Ripetete il mantra:
Hare Krsna, Hare Krsna, Krsna Krsna, Hare Hare, Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare
in modo che sia da voi udibile per tutto il tempo che intendete meditare. (Accertatevi di muovere le labbra e le mandibole come se pronunciaste parole comuni.)
Potete cantare come preferite, sia ad alta voce che sommessamente. Potete anche variare tono e inflessione. Ricordate: “Non ci sono rigide regole.”
La meditazione è una scienza personale, e le persone non sono macchine. Non c’è alcun metodo meccanico per sviluppare il vostro potenziale. Per aver successo, la tecnica di meditazione dev’essere naturale, libera ed espressiva come lo siete voi.
Piuttosto che soffocare le vostre personali e naturali tendenze espressive, il metodo del canto del mantra Hare Krsna favorisce queste tendenze per stimolare lo scorrere naturale della meditazione. Mentre cantate fissate semplicemente la mente sull’ascolto del suono del mantra. Quando parlate è naturale per voi ascoltare la vostra voce. Durante la meditazione dirigete questa naturale attenzione verso l’ascolto del mantra. La qualità della vostra meditazione dipende da quanto siete bravi ad ascoltarvi.
È vero che durante la meditazione la vostra mente può vagare o sognare. Quando ciò accade non combattetela; riportate semplicemente la vostra attenzione all’ascolto del mantra. Krsna dice nella Bhagavad-gita (6.26): “Ovunque la mente vaghi a causa della sua natura agitata e instabile, dev’essere ricondotta sotto il controllo del sé spirituale.”
Srila Prabhupada spiega: “La mente è inquieta per natura... ma può riposarsi nella vibrazione sonora di Krsna.” La mente cerca conoscenza e piacere, e poiché li trova nel suono del mantra Hare Krsna, diventa serena e soddisfatta.
Le parole del mantra Hare Krsna provengono dall’antica lingua sanscrita. Hare significa “colui che porta via tutti i disturbi della mente” e “colui che risveglia tutte le qualità salutari”. Hare indica anche “l’energia di piacere di Dio”. Krsna e Rama sono nomi personali di Dio. Krsna significa “infinitamente affascinante” e Rama “culla del piacere”. Quando la persona che medita ripete questi suoni, il mantra gradualmente le rivela il suo significato e ne intensifica l’avanzamento personale.
Ora sapete tutto ciò di cui avete bisogno per iniziare a casa vostra la pratica della meditazione. Ripetete semplicemente il mantra Hare Krsna e ascoltatene il suono. Il progresso seguirà in modo automatico.
Un ultimo suggerimento: la rapidità del vostro progresso di-penderà anche dalla sincerità del vostro sentimento mentre cantate.
Ricordate che la meditazione è una scienza personale. Se incontrate difficoltà o se avete domande sulla meditazione del mantra Hare Krsna o sulla meditazione in generale, non esitate a mettervi in contatto con il centro Hare Krsna più vicino a voi o a scriverci. Il nostro sito internet è: www.harekrsna.it. Vi auguro un dolce e piacevole viaggio di “ritorno a casa”.
QUATTRO FATTI SERI DELLA VITA
di Visakha devi dasi
“Qual è la cosa più sorprendente?” fu chiesto una volta a un re sagace. “La cosa più sorprendente,” rispose il re, “è che anche se ognuno di noi sa che è destinato a morire, come sono morti i parenti e gli amici, nessuno si prepara per la propria morte, ma agisce come se vivesse per sempre.”
Se per caso aveste sentito i devoti di Krsna usare il termine anima condizionata, forse vi sareste chiesti cosa significa. Un’anima condizionata è un’anima controllata dalle insormontabili forze della natura, specialmente dalle sofferenze della nascita, della vecchiaia, della malattia e della morte.
Per noi, anime condizionate nel mondo materiale, tutte le gratificazioni e le amenità della vita – il dolce amore degli amici e dei parenti, la casa, i passatempi, gli studi, le cene alle otto e il tennis la domenica – sono passeggere a causa di queste implacabili imposizioni della natura. Alcune anime, desiderando raggiungere una felicità duratura, cercano di diventare incondizionate, libere cioè dall’influenza della natura materiale.
Per potersi liberare necessitano però di una guida spirituale qualificata e di libri di riferimento, come la Bhagavad-gita e lo Srimad-Bhagavatam, elaborati trattati sulla conoscenza materiale e spirituale. La Bhagavad-gita descrive un aspetto della conoscenza quale “la percezione dell’inferno della nascita, della morte, della vecchiaia e della malattia”. Questa visione decisamente pessimistica della vita materiale è una spinta per coloro che vogliono diventare anime incondizionate.
Nel terzo canto dello Srimad-Bhagavatam questa spinta è rafforzata dalla discussione tra Kapila-deva, manifestazione di Dio, la Persona Suprema, e Sua madre, Devahuti.
“Devahuti disse: Mio Signore, per favore descrivimi nel dettaglio, sia per me che per le persone in generale, l’evolversi continuo delle nascite e delle morti, perché sentendo parlare di queste calamità potremmo volerci distaccare dalle attività di questo mondo.”
Nella Sua risposta Kapila spiegò come la forza vitale, l’anima, entri nel grembo di una donna attraverso una particella del seme maschile durante l’atto sessuale, come il feto si sviluppi durante le settimane e i mesi di gravidanza e come esso soffra.
Se la madre mangia cibo piccante, troppo salato o troppo acido, il corpo del bambino subisce dolori che sono quasi insopportabili. Coperto all’esterno dall’intestino, il bimbo è disteso su un lato dell’addome, la testa curvata verso la propria pancia e la schiena inarcata. Rimane così, come un uccello in gabbia, senza libertà di movimento.
Sebbene i ricercatori scientifici abbiano confermato molte affermazioni contenute nello Srimad-Bhagavatam circa lo sviluppo del feto, non hanno ancora scoperto quanto soffra. Come abbiamo dimenticato il dolore delle ferite passate o le malattie che abbiamo avuto, così abbiamo dimenticato il dolore della condizione fetale.
Che dire poi della nascita! “Spinto all’improvviso verso il basso dall’aria che aiuta il parto,” descrive Kapila, “il bambino viene fuori con grande dolore, a testa in giù, senza respiro, e privato della me- moria a causa dell’estrema agonia.”
Come ogni madre sa, le sofferenze dei neonati continuano dopo la nascita. Il bebé impotente non può esprimere cosa vuole, e non può rifiutare le cose indesiderate che gli vengono date. Non può grattarsi o muoversi come vorrebbe, e piange per le indigestioni, le coliche, il mal di denti, i dispetti e per altri dolori che solo lui conosce.
Kapila ci parla anche della vecchiaia. Come il fattore trascura i suoi vecchi animali esausti, così “vedendo un uomo che non può più sostenere i membri della sua famiglia, questi non lo trattano con lo stesso rispetto di prima”. Perciò i vecchi, considerati dai loro familiari come problemi, troppo difficili per viverci insieme o per prendersene cura, languiscono negli ospizi. Se rimangono a casa, “sono trattati come animali domestici e mangiano quel po’ che ricevono con negligenza”. Afflitti da molte malattie, spiega Kapila, mangiano solo piccoli bocconi di cibo e restano oziosi invalidi, mentre il loro corpo si assottiglia e si deteriora sotto l’impercettibile ma implacabile influenza del tempo. Il corpo degli anziani diventa un involucro devastato dal tempo, come una casa abbandonata, una struttura vuota priva di servizi e comodità.
Sotto forma di vecchiaia, il tempo notifica un mandato di comparizione davanti alla morte che nessuno può rifiutare. Ma invece di prepararsi, gli anziani mettono sù una facciata spenta con rughe imbellettate, capelli tinti e vestiti sportivi. Vivendo con i loro fon- di pensionistici degli “anni d’oro”, si divertono giocando a bocce, praticando uno sport tranquillo e facendo spedizioni di shopping prima che la morte sopraggiunga e il loro corpo, con la sua facciata, ritorni alla polvere.
Nonostante una vasta ricerca medica, nuovi ospedali sofisticati e il duro lavoro dei medici, la malattia non accenna a diminuire. Oltre a dover nascere e poi morire, il corpo è soggetto a una o più malattie, tra le miriadi esistenti, dall’artrite all’AIDS, dagli strappi muscolari allo squilibrio mentale. Sebbene sia considerata una condizione anormale, la malattia è in realtà la condizione normale, inflitta sul corpo di tutte le anime soggette alle imposizioni della natura.
“Qual è la cosa più sorprendente?” fu chiesto una volta a un re sagace. “La cosa più sorprendente,” rispose il re, “è che ognuno di noi sa che è destinato a morire, come sono morti i parenti e gli amici, eppure nessuno si prepara alla morte, ma agisce come se vivesse per sempre.”
Il tempo vince tutto ciò che è materiale. Con ogni alba e tramonto del sole, con ogni momento che passa, ci viene rubato quel che resta della nostra vita. Ogni compleanno significa un anno più vicino alla morte.
Kapila descrive i momenti finali della vita di un uomo: “In questa condizione malata, il vecchio ha difficoltà a respirare, e mentre inspira ed espira produce un suono che è una specie di rantolo, i suoi occhi si gonfiano per la pressione dell’aria interna e le ghiandole si congestionano per il muco. Cade così sotto gli artigli della morte e giace circondato da amici e parenti in lacrime, e anche se vorrebbe parlare non può farlo. Muore quindi in modo pietoso, nel dolore e nell’afflizione.”
Incapace di portare a termine i suoi piani, insoddisfatto di come ha provveduto alla famiglia e inconsapevole del suo destino, l’uomo che sta per morire è impotente come un neonato.
La nostra breve vita è come una bolla nell’oceano. L’agitarsi delle onde crea molte piccole bolle che stanno insieme per un po’ di tempo e poi si separano per non incontrarsi mai più. Allo stesso modo, la nostra famiglia, gli amici e i connazionali si raggruppano come bolle per poi essere separati dalla morte.
Sebbene tutte le anime condizionate, essendo esseri spirituali eterni, non sono destinate a morire, sono soggette alla morte perché la loro esistenza s’intreccia con la natura materiale. È possibile, tuttavia, svincolarsi e risolvere il problema della morte.
“I santi e i saggi,” disse Devahuti, “essendo liberi da tutti i turbamenti dei sensi e della mente, meditano su Dio, la Persona Suprema, perché solo con la Sua misericordia una persona può liberarsi dalla morsa della natura materiale.”
Kapila apprezzò la sua realizzazione e disse: “Il cammino del servizio devozionale è molto facile. Puoi seguire questo metodo senza difficoltà, e seguendolo ti libererai molto presto, anche mentre sei ancora nel corpo presente. Le persone che non conoscono il metodo del servizio devozionale al Signore Supremo non riescono a uscire dal ciclo di nascite e morti.”
Finché l’anima condizionata non conosce la scienza spirituale chiamata servizio devozionale, lavora duramente e rifiuta di vedere in modo filosofico le cause delle sue sofferenze e i possibili rimedi. L’anima che non è condizionata, invece, ritrae i sensi dalle attività materiali e, provvista di conoscenza e distacco, li impiega totalmente al servizio del Signore Supremo. Chiunque abbia nella vita l’unico scopo di servire il Signore Supremo sotto la direzione di un maestro spirituale autentico è liberato mentre si trova nel corpo materiale. Anche se deve ancora soddisfare le sue necessità fisiche basilari, non è disturbato dalle forze della natura materiale.
“Intendi dire che un’anima non condizionata non diventa vecchia, non si ammala o non muore?” potreste chiedere con incredulità. Naturalmente, da un punto di vista esteriore anche lei sperimenta queste condizioni, ma da un punto di vista superiore, spirituale, ciò non succede perché ha realizzato che non è il corpo materiale bensì l’anima spirituale all’interno del corpo. Proprio come il fatto d’indossare un vecchio cappotto e una vecchia camicia non mi rendono vecchio, così le condizioni del corpo e della mente non possono mai intaccare l’anima eterna.
Neppure la morte – l’ultimo condizionamento materiale – ha influenza sull’anima liberata. Per esempio, quando un gatto tiene in bocca un topo, il topo è terrorizzato sentendo che la morte è vicina, ma quando lo stesso gatto tiene nella bocca il suo piccolo, il gattino si sente a suo agio. Quando la morte sopraggiunge per l’anima condizionata, questa è terrorizzata, ma per l’anima non condizionata la “morte” significa che il Signore è venuto a riportarla a casa, nel mondo spirituale.
QUANTO SIAMO LIBERI?
di Navin Jani
Una riflessione sulle teorie del “determinismo rigido”, del “libero arbitrio assoluto” e del “determinismo non rigido” alla luce delle Scritture vediche.
Un giorno Samuele si reca all’orfanatrofio della sua città per fare una generosa donazione. In un’altra parte della città Andrea rapina una banca. Che cosa ha portato queste due persone a due scelte così drasticamente diverse? È dipeso dalla loro volontà o dall’intervento di qualche altro fattore? In altre parole, le loro azioni erano già determinate oppure queste due persone agiscono per libero arbitrio?
Queste domande riguardano uno dei temi più dibattuti della filosofia occidentale. Gli esseri umani sono destinati a seguire un percorso determinato? Siamo come bambini su una macchinina di una giostra che permette loro di curvare a destra o a sinistra, ma che inesorabilmente li porta lungo un percorso predeterminato? Oppure siamo liberi di desiderare e di fare tutto quello che ci piace? La nostra vita è come una lavagna pulita su cui possiamo scrivere tutto e di tutto?
Tratteremo quindi brevemente come la filosofia occidentale abbia impostato il problema del rapporto tra determinismo e libero arbitrio, e poi suggeriremo come la letteratura vedica possa offrire un’ulteriore visione di questo tema così sfuggente, eppure così importante.
Prima di tutto chiariamo il significato della parola “arbitrio”. Da un punto di vista filosofico si tratta di un concetto articolato che ha subìto variazioni di significato durante gli anni. Tuttavia, per tutti gli scopi pratici può essere ritenuto sinonimo di “azione”. Pertanto il dibattito sul rapporto tra determinismo e libero arbitrio essenzialmente è una richiesta d’identificare la causa dei comportamenti umani. Tenere in mente questo vi aiuterà a non perdervi in quella che altrimenti potrebbe diventare una giungla intricata di astratti linguaggi filosofici incomprensibili.
DETERMINISMO RIGIDO
In questo dibattito un punto di vista è quello di affermare che Samuele era destinato a fare una donazione e Andrea a rubare, e nessuno in realtà aveva voce in capitolo su queste scelte. Questa teoria è conosciuta come “determinismo rigido”. Ciò comporta che tutte le azioni umane siano il risultato diretto di una sequenza di cause e di effetti tali da renderle predeterminate e tali da potersi svolgere in un solo ed unico modo. Quindi, in realtà noi non abbiamo alcun ruolo nel determinare le nostre azioni, che sono causate da qualcosa al di sopra di noi. I filosofi occidentali in generale si sono dimostrati restii ad accettare questo punto di vista e con buone ragioni: un rigido determinismo contrasta sia con l’esperienza comune sia con le regole di civiltà.
Lungi dal sentirsi obbligati a compiere le azioni che facciamo, istintivamente sentiamo che nella nostra vita possiamo fare delle scelte. Perciò il pensiero di non poter in alcun modo controllare quello che facciamo ci ripugna. Inoltre le leggi che governano una società hanno significato solo se i cittadini possono decidere se seguirle o no. Per esempio, potremmo essere del parere di punire.
Andrea per mandare un messaggio alla comunità sul fatto che non si deve rubare, in modo che altri non seguano il suo esempio. Se però i cittadini non hanno il potere di decidere se rubare o no, allora qual è l’utilità di mandare un messaggio di questo tipo? Quindi un rigido determinismo dev’essere respinto perché contrario all’intuizione e certamente in contrasto con la pratica.
LIBERO ARBITRIO ASSOLUTO
Dopo aver respinto questa posizione estrema, esaminiamo l’altra posizione estrema. Come il determinismo rigido ci dice che Samuele e Andrea dovevano ciascuno agire in quel particolare modo, il punto di vista opposto ci dice che essi avrebbero potuto agire in qualsiasi altro modo. Questa è la teoria conosciuta come libero arbitrio assoluto. Essa sostiene che le azioni umane sono totalmente libere e possono svolgersi in un numero infinito di modi. Il nostro comportamento non è il prodotto precostituito di un grande schema universale, ma è fluido e flessibile. Esso è essenzialmente senza causa, perché questo limiterebbe il suo svolgimento.
A differenza della teoria del rigido determinismo che ha avuto pochi aderenti tra i filosofi occidentali, la teoria del libero arbitrio assoluto è stata fatta propria da molti, compreso il filosofo francese Cartesio all’inizio del diciassettesimo secolo e il filosofo tedesco Kant alla fine del diciottesimo secolo. In realtà, essa dà un gradito sollievo alla soffocante rigidità del determinismo ed è in accordo con i criteri occidentali di libertà e d’indipendenza. Altri filosofi (compresi quelli nominati nel prossimo paragrafo) hanno però messo in evidenza che questa teoria non è accettabile. Essi affermano che un fenomeno ha una causa (o più cause) oppure è completamente casuale; non esiste una terza via. Affermare quindi che le azioni umane non hanno una causa è come dire che sono casuali. L’osservazione del mondo intorno a noi però mostra chiaramente che questo non è vero. Noi non vediamo madri che abbracciano la biancheria sporca gettando invece i bambini nella lavatrice. Al posto di questo caos senza spiegazione (logica conseguenza di questa teoria) possiamo constatare ordine e significato nei comportamenti umani. Quindi, il libero arbitrio assoluto dev’essere anch’esso respinto come privo di logica e non realistico.
DETERMINISMO NON RIGIDO
Mentre il determinismo rigido non ci lascia spazio per respirare, risulta che il libero arbitrio assoluto apre una porta troppo grande. Nessuna delle due teorie ci consente d’influire consapevolmente sulle nostre azioni. Che pensare di qualcosa d’intermedio, qualcosa tra questi due estremi? Questo punto di vista permetterebbe a Samuele e ad Andrea di essere la causa delle proprie azioni in un modo che riconcilia determinismo e libero arbitrio. Il comportamento umano potrebbe allora essere compreso non come frutto del capriccio e neppure come irrispettoso della volontà individuale.
Un enorme numero di persone ha appoggiato in qualche modo questo compromesso – compresi i filosofi inglesi Hobbes, Locke e Mill - su cui confluisce più o meno il consenso dei filosofi contemporanei occidentali. Tra essi il filosofo scozzese del diciottesimo secolo Hume ne ha dato quella che senza dubbio è la principale presentazione.
La sua teoria è definita determinismo non rigido perché si basa su un determinismo rigido, ma lo modifica in modo da consentire il manifestarsi di una libertà personale e di una responsabilità morale. Egli inizia con l’affermazione che ogni azione umana ha una causa che ne determina lo svolgimento. Se questa causa è qualcosa di esterno all’individuo, egli classifica l’azione risultante come involontaria, se invece la causa è un desiderio interiore dell’individuo, l’azione risultante è qualificata come volontaria.
Mentre nel determinismo rigido tutte le azioni sono causate da forze esterne e sono quindi quelle che Hume chiama involontarie, il suo determinismo non rigido prevede cause sia esterne sia interne. In realtà egli pone l’accento sulle ultime spiegando che gli esseri umani agiscono sempre in base ai loro fortissimi desideri interni senza essere forzatamente determinati da fattori esterni. Hume conclude ritenendo tali azioni volontarie “libere” e pertanto assoggettabili a un giudizio morale.
In questo modo, secondo la teoria di Hume, la donazione di Samuele è considerata determinata dal suo desiderio di donare, tuttavia è anche ritenuta libera perché è fatta volontariamente. Il furto compiuto da Andrea è causato dal suo desiderio di denaro, ma egli ne è moralmente colpevole perché non era obbligato ad agire secondo il suo desiderio.
Sebbene col determinismo non rigido di Hume si abbia finalmente una teoria che collega gli individui con i loro comportamenti, appare discutibile se questo accada in un modo che dia loro una vera libertà. Questa teoria che evita l’oppressivo impersonalismo del determinismo rigido e il caos dell’assoluto libero arbitrio dà veramente agli uomini il potere di una scelta consapevole? La critica ha risposto di no. I critici hanno fatto notare che sebbene con la teoria di Hume gli individui agiscano secondo la loro volontà, non lo fanno liberamente. Questo accade perché i desideri interni che causano le loro azioni non sono sotto il loro controllo cosciente. Per esempio, Samuele agisce volontariamente in accordo al suo desiderio di fare la carità (e si sente come se agisse liberamente), ma da dove viene questo desiderio? Ha scelto lui di essere quel tipo di personalità che ha la tendenza a donare?
No. Potremmo percorrere il suo sviluppo attraverso le sue esperienze, la sua educazione e il suo ambiente familiare, oppure rassegnarci a un semplice: “È nato così.” In entrambi i casi dobbiamo riconoscere che i fattori che hanno portato Samuele a voler aiutare l’orfanatrofio non sono chiaramente soggetti al suo controllo cosciente. Anzi, il suo desiderio è il risultato deterministico del suo passato che lo spinge ad agire in questo modo. Egli non è libero di agire diversamente. Perciò non è giusto definire libere le rispettive azioni di Samuele e di Andrea, e conseguentemente lodarle o censurarle.
In definitiva il determinismo non rigido ci porta allo stesso punto morto del determinismo rigido anche se con un po’ più di varietà lungo il percorso. Sebbene il determinismo rigido e il libero arbitrio assoluto possano entrambi essere facilmente respinti (sia in questo articolo sia negli annali della filosofia occidentale), è facile concordare che un determinismo non rigido appare più convincente. Tuttavia non ci ha permesso di raggiungere quello che cerchiamo per una spiegazione vera della causa delle azioni umane.
Certamente la risposta si trova in una forma di sintesi tra determinismo e libero arbitrio, ma la filosofia occidentale non ci può far avanzare ulteriormente in questa direzione. Prenderemo quindi in considerazione la filosofia dell’antica India. Nelle Scritture vediche troviamo una prospettiva che concilia veramente determinismo e libero arbitrio in un un modo che soddisfa i nostri intelletti ed è gradevole ai nostri cuori.
IL LIBERO ARBITRIO DELL’ANIMA
Cominciamo rivisitando il lato deterministico del tema. Krsna spiega nella Bhagavad-gita che tutti gli esseri viventi hanno una forma spirituale eterna di cui i corpi fisici che vediamo sono solo coperture temporanee. La causa prima di questo imprigionamento è conosciuta in sanscrito come ahankara. Sebbene questa parola sia di norma tradotta come falso ego, letteralmente significa: “Sono io che agisco.” Poiché siamo fatti di spirito e non di materia, noi non abbiamo alcuna capacità di manipolare indipendentemente la materia, e pensare di poterlo fare è l’inganno che c’imprigiona in modo definitivo. Lungi dall’essere i controllori, il fatto di abitare in un corpo fisico ci porta sotto il controllo della natura perché il corpo materiale agisce secondo le leggi della natura.
Il vero principio attivo che provoca i movimenti del mondo materiale è l’energia di Dio nella forma dei tre princìpi o influenze materiali: il mantenimento (virtù), la creazione (passione) e la distruzione (ignoranza). Krsna somma tutte queste dinamiche facendo osservare: “L’anima spirituale ingannata dall’influenza del falso ego pensa di essere lei a compiere le attività che in realtà sono svolte dalle tre influenze della natura materiale.” La nostra libertà non si trova dunque nel regno tangibile della materia fisica.
Per alcune persone le implicazioni derivanti da questo riscontro fanno ritenere che il libero arbitrio sia semplicemente illusorio, e che la reale comprensione comporti il fatto di accettare che noi siamo pedine impotenti di un mondo retto dal determinismo. Dal punto di vista storico, i filosofi occidentali hanno sempre finito con l’ammassare il punto di vista vedico insieme alle altre filosofie orientali etichettando il tutto come fatalismo asiatico. Questo però è solo metà dell’equazione vedica. Altrettanto convincente (e senza dubbio più importante) è la testimonianza vedica della libertà e del potere di una scelta consapevole.
Per esempio, la letteratura vedica contiene una pletora di regole, princìpi e rituali. Molti eminenti filosofi vaisnava hanno usato la stessa logica che noi abbiamo citato prima per sconfiggere il determinismo rigido dichiarando che tali prescrizioni dettate dalle Scritture (e le ricompense e le punizioni ad esse associate) possono avere significato solo se l’essere vivente ha in qualche modo una vera indipendenza. In realtà: “Il Signore Supremo ha formulato e applicato in modo così esperto le leggi della natura materiale regolanti la punizione e la ricompensa relative al comportamento umano che l’essere vivente è scoraggiato di fronte al peccato e incoraggiato verso la virtù, senza per questo dover soffrire di alcuna interferenza significativa col suo libero arbitrio di anima eterna.” (Srimad-Bhagavatam 10.24.14, spiegazione dei discepoli di Srila Prabhupada).
A questo punto è importante notare che poiché la mente, nella comprensione vedica, è considerata materiale, essa è soggetta allo stesso rigido controllo che prima era stato attribuito al corpo. Perciò, come il libero arbitrio dell’essere vivente non può essere esteso alle azioni del corpo fisico e dei sensi, così non può essere esteso alle azioni della mente o dell’intelligenza. Quindi il libero arbitrio di cui Prabhupada parla dev’essere limitato al dominio proprio dell’anima spirituale, e devono essere le azioni di quest’anima che meritano le punizioni e le ricompense di cui si è parlato. Ma come agisce l’anima? Prabhupada spiega che questo avviene attraverso il desiderio. Inoltre, egli fa un ulteriore passo avanti rivelando che il desiderio di “arrenderci a Dio oppure no è l’espressione essenziale del nostro libero arbitrio”.
E qui finalmente c’è la risposta che cerchiamo, e la risoluzione vedica del problema del contrasto tra determinismo e libero arbitrio. Come esseri umani, la nostra libertà consiste soltanto nel fatto di avvicinarsi a Dio o allontanarci da Lui. La natura materiale, “sotto la direzione di Dio”, si prende cura del resto. Sulla base dei nostri desideri passati, e con l’aiuto delle influenze della natura materiale, alla nascita ci viene dato un corpo adatto a compiere azioni corrispondenti a questi desideri. Nei limiti di questo corpo, limiti che vanno dalla nostra disposizione mentale ai risultati karmici che ci spettano mentre siamo in esso, abbiamo l’opportunità di formulare nuovi desideri. Questi desideri possono assumere innumerevoli forme, ma sono sempre riconducibili a una delle due grandi categorie: desiderio di avvicinarsi a Dio o desiderio di allontanarsi da Lui. I nostri nuovi desideri creano allora quelle reazioni karmiche che determinano il nostro nuovo corpo.
NESSUN DETERMINISMO SENZA USCITA
Questa comprensione vedica del libero arbitrio ci salva dalla strada senza uscita in cui ci portava il determinismo non rigido. Possiamo percorrere all’indietro i molteplici desideri che determinano l’azione di una persona, a partire dalla condizione raggiunta nella vita attuale fino alla sua natura al momento della nascita, fino ai desideri delle sue vite precedenti e fino al suo progressivo desiderio di arrendersi a Dio o di ribellarsi a Lui. A questo livello finale di primaria importanza regna la libertà, mentre il determinismo domina i successivi anelli della catena. Si può quindi definire il modello vedico come una sorta di libero arbitrio binario.
Samuele, per esempio, nella sua nascita precedente deve aver avuto desideri virtuosi (come il desiderio di rinunciare al proprio interesse personale per scopi più elevati), e ciò lo ha portato a nascere con una generosità spontanea e a ricevere una buona educazione dai genitori e dagli insegnanti, cose che gli hanno consentito di avvicinarsi a Dio. Andrea, invece, deve aver avuto desideri contrari a Dio (per esempio, desideri egoistici accentrati su un vantaggio personale a scapito di altri), che lo hanno portato a nascere in una situazione di degrado, idonea ad esprimersi e ad agire secondo questo tipo di desideri. La chiave per capire come tutto questo funziona sta nella comprensione che il karma agisce a livello sottile, ma anche grossolano. Le buone azioni non solo creano circostanze favorevoli, ma producono anche il desiderio di fare ulteriori buone azioni. E viceversa.
A differenza dal foglio bianco del libero arbitrio o del percorso rigido del determinismo, questa miscela dei due potrebbe essere paragonata a un film interattivo che vi permette di fare scelte in alcuni momenti cruciali e poi funziona automaticamente fino alla prossima decisione. Se compiamo scelte favorevoli a ristabilire la nostra relazione con Dio, come Samuele, la prossima volta avremo un maggior numero di possibilità di questo tipo. Se invece facciamo scelte che ostacolano la nostra relazione con Dio, come Andrea, le scelte verso il divino diminuiranno in opportunità e in quantità. In entrambi i casi, quello che accade tra i punti di decisione è il risultato predisposto da innumerevoli scelte del passato.
Quando infine arriviamo al punto in cui senza condizioni e senza interruzioni desideriamo essere più vicini a Dio, allora rompiamo la catena dei successivi corpi fisici e possiamo tornare nella dimora di Dio. Là, avendo ripreso il nostro corpo spirituale originale, saremo totalmente indipendenti dalle leggi della natura che esercitano su di noi un controllo così rigido in questo mondo. A quel punto arriviamo al definitivo paradosso del libero arbitrio. Quando saremo in grado di offrire in ogni momento il nostro libero arbitrio ai piedi di Dio per il Suo piacere anziché per il nostro, allora e soltanto allora avremo raggiunto l’apice della libertà.
IL PROBLEMA DEL PARADISO
di Mukunda Mala dasa
Le persone che desiderano andare in cielo possono non sapere esattamente cosa le aspetta.
Una mattina, mentre leggevo un quotidiano indiano, l’occhio mi cadde sugli annunci mortuari e su un elenco di persone defunte ricordate con affetto dai familiari e dagli amici. Ad ogni persona defunta veniva dato l’appellativo di svarga-vasi, “abitante del paradiso”. Sebbene la cultura laica moderna non insegni niente della vita sugli altri pianeti – e non ne sappia niente – rimasi sorpreso nel vedere che le persone credono che il loro parente defunto ottenga il paradiso. Quella persona è veramente andata in paradiso? Mi chiedevo. Meritava davvero di entrare in paradiso a godere dei piaceri e delle delizie celestiali? E se si trattava di un criminale o di un macellaio – poteva andarci lo stesso? E in questo caso, sarebbe stato come aveva sperato?
PARADISO E INFERNO: MITO O REALTÀ?
Alcuni scienziati vorrebbero farci credere che il paradiso e l’inferno sono concetti della mitologia racchiusa nelle Scritture religiose. Pensano che queste idee siano state diffuse per incoraggiare le persone a condurre una vita improntata alla moralità nella speranza di ottenere il paradiso dopo la morte. Gli scienziati però non spiegano in modo adeguato la natura e la causa di questo illimitato universo e dei suoi diversificati aspetti. È piuttosto ragionevole credere nell’esistenza del paradiso e dell’inferno all’interno di questo universo. Vediamo che perfino su questo pianeta esistono condizioni di vita diverse – dalla miseria più squallida al lusso più estremo. Perché una differenza di questo tipo non potrebbe esistere in un ambito più ampio, quello universale?
Le Scritture vediche ci danno una descrizione dettagliata della vita sugli altri pianeti, compreso il paradiso. Ci dicono che nell’universo ci sono quattordici sistemi planetari e che i pianeti celesti, conosciuti come Svargaloka, formano uno di questi sistemi. Si trovano al di sopra di Bhuloka, il sistema planetario a cui appartiene la Terra. Sopra Svargaloka ci sono pianeti ancora più elevati, sui quali sovrasta Satyaloka o Brahmaloka, dove risiede Brahma, l’ingegnere progettista di questo universo.
La felicità e i piaceri di cui godono gli abitanti del paradiso sono incredibilmente superiori a quelli che si provano sulla Terra. Indra, capo di tutti quegli esseri celesti che hanno funzioni amministrative, è il re del cielo. A Indraloka, il pianeta dove risiede, ci sono giardini dove si può avere la compagnia di incantevoli signore angeliche e gustare senza limite il soma-rasa, una bevanda inebriante. Ci sono magnifici palazzi, splendidi paesaggi e immensi parchi con fiori profumati. I Gandharva, cantori celesti, riempiono l’atmosfera di musiche armoniose. Questi sono i piaceri del paradiso di Indraloka. Se si sale più in alto, verso altri domìni celestiali, i sensi e i loro oggetti diventano più sottili e la qualità sensuale diventa molto più raffinata. In confronto ai piaceri paradisiaci, i piaceri terreni sono insignificanti ed estremamente grossolani.
Un’altra caratteristica dei pianeti più elevati è la differenza nella scala del tempo. Gli scienziati concordano sul fatto che il tempo sugli altri pianeti è diverso da quello sulla Terra. I testi vedici ci dicono che sei mesi sulla Terra equivalgono a dodici ore su Indraloka. Secondo i nostri calcoli la durata della vita lassù è di diecimila anni.
I pianeti celesti sono abitati da personalità come Indra, Candra, Varuna e Vayu. Tutte le persone che vi risiedono sono prevalentemente situate nella virtù e poco coinvolte dalle influenze inferiori della passione e dell’ignoranza. Sono tutte dedicate a Dio, la Persona Suprema, e sono anime molto pie che aderiscono rigorosamente ai princìpi religiosi.
Nessuno può intrufolarsi liberamente, senza controllo, sui pianeti superiori. Gli scienziati cercano di entrare in molti pianeti dello spazio esterno e affermano di essere riusciti a mandare un uomo sulla Luna, ma le Scritture vediche giudicano infantili questi tentativi. Proprio come le nazioni impediscono agli stranieri di entrare all’interno dei loro confini, autorità più elevate impediscono l’ingresso ai pianeti celesti. Per accedere a quei pianeti una persona deve aver accumulato un’immensa quantità di crediti pii compiendo innumerevoli attività virtuose sulla Terra.
La sezione karma-kanda (“la via dell’azione”) della letteratura vedica consiglia particolari sacrifici alle persone che desiderano andare sui pianeti più elevati.
La natura temporanea e miserevoLe dei Pianeti celesti Nonostante tutte le comodità e il lusso che si possono trovare sui pianeti superiori, spesso le Scritture vediche ci scoraggiano dall’andarci. I pianeti celesti fanno parte della creazione materiale perciò sono per natura temporanei e alla fine saranno distrutti. Sebbene la durata della vita lassù possa sembrare infinitamente lunga se paragonata alla nostra, è insignificante rispetto all’eternità. E poiché anche questi pianeti fanno parte della creazione materiale, le sofferenze presenti sulla Terra – nascita, vecchiaia, malattia e morte – sono presenti anche là.
Krsna dice nella Bhagavad-gita (8.16), abrahma-bhuvanal lokah punar avartino ’rjuna: “Tutti i pianeti del mondo materiale, dal più alto al più basso, sono luoghi di sofferenza dove nascita e morte si susseguono ripetutamente.”
Nello Srimad-Bhagavatam ci sono descrizioni di potenti esseri demoniaci che attaccano gli esseri celesti, i quali a volte perdono la battaglia che ne segue e con essa perdono le loro prestigiose posizioni di controllori dell’universo, sprofondando nell’ansia e nell’incertezza.
Srila Prabhupada paragona il mondo materiale a una prigione dove diversi tipi di criminali occupano diversi tipi di celle. In base alla gravità del crimine commesso il colpevole viene relegato in un particolare tipo di cella – le celle più orribili sono per coloro che hanno commesso i crimini più efferati.
Anche l’universo funziona come una prigione in cui vengono relegate le anime ribelli perché si rettifichino e correggano i loro errori. In base alle nostre attività passate veniamo messi in condizioni di vita in cui godiamo o soffriamo dei risultati dei nostri atti. Per le azioni più pie veniamo inviati in paradiso a godere piaceri divini, per le azioni malvagie andiamo a soffrire all’inferno.
Purtroppo, anche se una persona si qualifica per entrare in paradiso, non potrà restarvi in modo permanente. Una volta esauriti i crediti accumulati con le azioni pie deve tornare sulla Terra e ricominciare da capo.
Nella Bhagavad-gita (9.21) Sri Krsna spiega: “Quando, dopo aver goduto a lungo dei piaceri paradisiaci, il frutto delle attività pie è stato consumato, si torna di nuovo su questa Terra mortale. Così le persone che si conformano ai princìpi dei tre Veda perché ambiscono al piacere dei sensi ottengono soltanto di nascere e morire ripetute volte.”
IL MONDO SPIRITUALE
Krsna ci incoraggia dunque a raggiungere la Sua dimora, il mondo spirituale eterno, pieno di felicità e conoscenza, l’esatto contrario del mondo materiale, che è temporaneo e pieno di sofferenza. Nella Bhagavad-gita (15.6) Egli ci fa intravedere la natura della Sua dimora affinché ci sentiamo invogliati ad andarci: “Questa Mia suprema dimora non è illuminata né dal sole né dalla luna, né dal fuoco né dall’elettricità. Coloro che la raggiungono non tornano più in questo mondo.”
Il mondo spirituale contiene innumerevoli pianeti Vaikuntha dotati di luce propria, dove non c’è bisogno della luce del sole, di quella della luna, del fuoco o dell’elettricità. Quaggiù vediamo che il tempo onnipotente controlla ogni cosa che poi trova inevitabilmente la fine. L’azione invalidante del tempo, invece, è assente nel mondo spirituale. In quell’atmosfera sono assenti le influenze materiali inferiori dell’ignoranza e della passione. Tutti sono al livello del suddha-sattva, la pura virtù. Il Signore Supremo è il capo, non c’è competizione per il comando, e tutti collaborano nell’ambito del Suo servizio d’amore.
Nella spiegazione al verso 9.21 della Bhagavad-gita Srila Prabhupada scrive: “Invece di raggiungere il mondo spirituale, da dove non si ricade più nel mondo materiale, l’uomo resta prigioniero del ciclo di nascite e morti, ora sui pianeti superiori ora su quelli inferiori. È meglio entrare nel mondo spirituale per godervi un’esistenza di eternità, di conoscenza e felicità assoluta, senza il rischio di far ritorno nella miserabile esistenza materiale.”
LO SCOPO DELLA VITA UMANA
La forma umana comporta una responsabilità più grande di quella degli animali. Anziché concentrare tutta la nostra energia per ottenere risorse migliori nel mondo materiale, concentramoci su come risolvere in modo definitivo il vero problema della vita, cioè la nascita, la vecchiaia, la malattia e la morte. Altrimenti non faremo altro che andare su e giù nell’universo materiale come se fossimo su una ruota panoramica.
Un puro devoto non è mai attratto dall’opulenza celestiale. In realtà, per chi è totalmente occupato a servire il Signore la situazione esterna non ha alcuna importanza. Siva spiega nello Srimad-Bhagavatam (6.17.28): “I devoti impegnati esclusivamente nel servizio alla Persona Suprema non temono alcuna condizione di vita. Per loro i pianeti celesti, la liberazione e i pianeti infernali si equivalgono, perché essi sono interessati soltanto a servire il Signore.”
Un devoto non desidera altro che ricordare Krsna e servirLo. In una situazione di benessere estremo, come quello paradisiaco, si può essere trascinati via dai piaceri sensuali e dimenticare il Signore. Consapevole di questo pericolo, un devoto concentra tutta la sua energia per ottenere l’eterno mondo spirituale. Al momento del trapasso non desidera essere chiamato svarga-vasi, residente del paradiso, bensì vaikuntha-vasi, residente di Goloka, il mondo spirituale.
LAVORARE SEMPRE E NON PREGARE MAI CI FA SPRECARE LA VITA
di Indra Krsna dasa
Come possiamo dare significato al nostro lavoro al di là del guadagno?
Il torrido, soffocante sole di Dubai è una pioggia di fuoco. Quando la temperatura si avvicina ai 50 gradi, nessun uomo può resistere all’aperto. La cacofonia dei suoni provenienti dalle macchine smerigliatrici, dai trasformatori, dai compressori d’aria e dagli altri macchinari offende l’orecchio.
Cammino all’interno del nostro cantiere e guardo le piattaforme perforanti che sono a differenti stadi di costruzione. Una volta completate, queste gigantesche strutture verranno poste su chiatte, rimorchiate al largo e installate in mare con l’aiuto di enormi gru galleggianti. Lunghi tubi saranno spinti attraverso le piattaforme fino a grandi profondità sotto il letto di sabbia per estrarre petrolio grezzo e gas dal cuore della Terra.
Questa è la risposta che l’uomo dà al suo bisogno sempre crescente di energia. Per compiere questa difficilissima impresa, migliaia di operai, di addetti alla supervisione e ingegneri esperti lavorano con grande impegno, con estrema precisione e adeguate cautele.
IL LAVORATORE: SOLO UN’UNITÀ PRODUTTIVA
Mi fermo vicino a un saldatore che salda insieme due pezzi d’acciaio. È completamente protetto: elmetto, guanti, occhiali di protezione, visiera e scarpe di sicurezza. Un panno copre la maggior parte della sua faccia. Mentre l’acciaio diventa rosso fuoco, gocce di metallo fuso cadono dall’elettrodo e uniscono i due pezzi. S’innalzano fumi bianchi e a occhio nudo il bagliore della luce è accecante.
Il saldatore è un’unità produttiva e ci sono migliaia di unità produttive che trasformano semplici pezzi di metallo in strutture. Questi uomini sono le nostre macchine. Mi giro per andarmene e lui mi guarda. Non riesco a vedere chiaramente i suoi occhi, ma qualcosa si muove dentro di lui e intravvedo un sorriso triste e stanco. Forse capisce quello che sto pensando o forse no, ma è nato per questo – lavorare ogni giorno dalla mattina alla sera. Probabilmente non pensa che la sua vita possa essere usata per qualcosa di diverso dalle saldature. Saldare è tutto ciò che sa fare e gli dà il denaro necessario. È felice che ci sia del lavoro da fare e teme il giorno in cui questo lavoro potrebbe cessare.
Sembra che non abbia scelta. Il fumo, la luce che acceca, il calore e il rumore assordante che lentamente e costantemente gli rubano la forza vitale sono parti della sua vita. Lui e i suoi compagni sembrano completamente condizionati dal loro lavoro. E quanto denaro guadagnano? Appena quanto basta per sopravvivere un altro giorno.
IL SIGNIFICATO DEL LAVORO
“Lavorare significa questo?” mi chiedo. Per trovare una risposta mi rivolgo allo Srimad-Bhagavatam, la perfetta opera letteraria vedica che ha una risposta per ogni domanda che ci riguarda. Trovo una risposta chiara nel primo capitolo (1.2.8): “Le occupazioni che ogni uomo svolge secondo la propria posizione sono altrettanti sforzi inutili se non suscitano attrazione per il messaggio del Signore Supremo.”
Il venerabile Suta Gosvami enunciò questo verso in una riunione di saggi eruditi a Naimisaranya, sulle rive del fiume Gange circa cinquemila anni fa. Ciascuno di noi svolge un’attività secondo la propria posizione, ci dice Suta Gosvami, ma quest’attività è solo fatica sprecata se non soddisfa il suo scopo principale: suscitare in noi l’attrazione per il messaggio del Signore.
Dio avrebbe potuto fornirci tutto quanto già pronto, ma ci ha dato invece l’opportunità di comprenderLo con il nostro lavoro. Dio è presente in ogni atomo della materia. Nel nostro lavoro interagiamo con la natura e così possiamo comprendere come essa funziona. Questo ci dovrebbe aiutare a comprendere Dio sotto la cui direzione la natura opera in modo perfetto.
A causa delle nostre tendenze egoistiche siamo portati invece a sfruttare la natura materiale e in questo modo non possiamo vedere la mano di Krsna in ogni cosa. Krsna opera in modo meraviglioso, come un esperto illusionista. AvvalendoSi della Sua energia esterna, maya, nasconde ciò che è, e ci fa vedere ciò che non è mantenendo nell’illusione gli esseri viventi condizionati dalla materia. Krsna ci mantiene nell’illusione a causa del nostro desiderio di godere di questo mondo. Poiché siamo esseri spirituali, possiamo “godere” in questo mondo solo nell’illusione.
Il lavoro, o l’azione in genere, fa nascere attaccamento al mondo materiale in base alle leggi del karma, ma quando quello stesso lavoro viene compiuto come offerta al Signore facilita il percorso che conduce alla libertà definitiva dall’esistenza materiale. Quest’azione è definita karma-yoga: lavorare e agire sotto la direzione del Signore Supremo per la Sua soddisfazione.
Vedo ogni operaio impegnato secondo le proprie capacità nella costruzione di questa gigantesca piattaforma, ma una simile fatica porta a sentire attrazione per il messaggio del Signore? Gli operai probabilmente non conoscono Dio. Privi di vera conoscenza, forse credono che Dio non esista oppure, se esiste, che non sia molto gentile. All’interno della Sua creazione devono lavorare duramente solo per sopravvivere.
Fortunatamente, per la grande misericordia del Signore e dei Suoi devoti, alcuni di loro possono venire istruiti sul servizio devozionale e diventare persone illuminate. Solo così la loro dura fatica può portare il frutto per cui è destinata.
SULLA PIATTAFORMA
Salgo la scala di una delle piattaforme. È un mondo completo in sé. Giro per i vari livelli. Gli operai sono dappertutto, intenti a installare pezzi di attrezzature e tubi. Le scintille volano e in alcuni punti il rumore è assordante. Le zone di lavoro sono sbarrate e ovunque ci sono segnalazioni per la sicurezza. Ingegneri e ispettori controllano minuziosamente lo svolgimento dei lavori. Non c’è spazio per gli errori.
La piattaforma è piena di attrezzature di ogni tipo e dimensione, che sono una chiara dimostrazione dell’ingegnosità dell’uomo nello sfruttamento della natura e dei grandiosi progressi che la tecnologia ha realizzato. Ogni pezzo del macchinario assolve a un compito importante, e tutto è perfettamente organizzato. Una sensazione di soddisfazione e di realizzazione cresce dentro di me vedendo alcuni dei miei progetti messi in opera.
Questa piattaforma sarà in grado di produrre milioni di tonnellate di petrolio e di gas che ci permetteranno di guidare le nostre macchine, di gestire le nostre industrie e cuocere il nostro cibo. Molte persone sono impegnate. Provo un senso di soddisfazione; certamente lo sforzo vale la pena.
Salgo le scale per raggiungere il ponte più alto, arrivo al limite della piattaforma e guardo il mare blu. Lungo il molo sono ancorate le chiatte e le imbarcazioni che contengono strutture e attrezzature varie. Lo sciacquìo dolce delle onde le fa muovere lentamente su e giù. Il vento e le onde danno un senso di benessere. In alto i gabbiani si librano in volo o galleggiano felici sul mare e stridono allegramente, incuranti di tutto ciò che succede intorno a loro. L’area ferve di attività. In tutto il porto le gru caricano e scaricano i container dalle navi ormeggiate.
Torno indietro e scendo le scale. La scena è la stessa: ovunque persone che lavorano duramente per costruire la piattaforma, per guadagnare denaro. Alcuni ne guadagneranno molto e altri poco. La società calcolerà il successo in base al guadagno. Uno strano senso di disagio mi assale. Guadagnare denaro è l’unico scopo della vita? Qual è stato lo scopo della mia vita? Costruire queste piattaforme per il mare aperto?
Per molti di noi il lavoro assorbe quasi tutto il tempo e le energie. Crediamo che il nostro lavoro ci procurerà il denaro necessario e ci potrà dare anche potere e posizione. Ma questo è tutto quello per cui viviamo? Dovremo trascorrere il resto della nostra vita a lavorare per ottenere ricompense temporanee?
Il ciclo senza fine di guadagnare denaro e spenderlo per la gratificazione dei sensi non soddisfa l’anima.
Ognuno di noi è essenzialmente un’anima spirituale rinchiusa in un corpo materiale; se non diamo soddisfazione all’anima, non saremo felici. Vediamo che anche la persona che ha raggiunto il più grande successo materiale è frustrata. Il vero significato della vita è athato brahma-jijnasa: porsi domande sulla Verità Assoluta.
Anche da un punto di vista materiale vediamo che il lavoro non dà soddisfazione a causa dello sfruttamento sistematico. È improbabile che coloro che fanno i lavori più duri ne godano i frutti; qualcun altro ne godrà. Come un uomo sfrutta un altro uomo e un Paese un altro Paese, maya sfrutta tutte le anime di questo mondo. Lo sfruttatore e lo sfruttato sono bloccati in questo ciclo di sfruttamento, mentre col tempo i ruoli s’invertiranno. Dobbiamo uscire da questo ciclo.
“Non c’è ragione di lavorare come muli,” penso. “Il vero successo nel lavoro è liberarci da esso e non esserne schiavi.”
Continuo a scendere le scale. Le mie ginocchia sono doloranti, avvertimenti che il mio tempo sta giungendo alla fine: il mio corpo sta invecchiando. Il più prezioso dei miei strumenti, il corpo, si sta logorando. Alcuni anni fa potevo andare su e giù per le scale della piattaforma senza avvertire alcuna fatica o dolore. Sento un brivido. Poi una domanda mi colpisce come un lampo: “Ho sprecato la mia vita?”
UNA VITA SPRECATA
Le parole del grande santo vaisnava del Bengala del sedicesimo secolo, Narottama Dasa Thakura, risuonano nella mia mente:
hari hari! viphale panama gonainu manusya-janama paiya
radha-krsna na bhajiya janiya suniya bisa khainu
“Signore, ho semplicemente sprecato la mia vita. Nonostante abbia ottenuto la forma umana, non ho adorato Radha e Krsna, perciò ho consapevolmente bevuto del veleno.”
Torno nel mio ufficio, allontanando dalla mente tutto ciò che mi circonda. Voglio concentrarmi sulla mia vita spirituale. Sono preso da un senso di urgenza. Come un disperato, comincio a rivedere tutta la mia vita devozionale. Chiedo a me stesso: perché non provo attrazione per il canto dei Santi Nomi? Perché la mia anima non implora il Signore? Perché sono così attaccato a questa vita monotona?
Il Signore desidera darci una residenza eterna nella Sua dimora spirituale. Solo un pazzo può non essere interessato. Decido di svolgere il servizio devozionale con maggior serietà.
Mentre il kali-yuga, l’attuale epoca degradata, si rafforza, le opportunità di cantare i nomi del Signore diminuiranno. Grazie a Srila Prabhupada ora ne abbiamo la possibilità. Facciamo il miglior uso di questa opportunità e non aspettiamo un’altra vita. Chi sa in quale tipo di corpo o in quale situazione ci troveremo? Meglio sacrificare tutto in questa vita, diventare coscienti di Krsna e tornare a casa, da Dio.
IL PRINCIPIO DELLO YUKTA-VAIRAGYA
Srila Prabhupada e i suoi predecessori esemplificarono e spiegarono lo yukta-vairagya, il modo per elevarsi spiritualmente usando le comuni cose materiali per servire Krsna. I vaisnava di oggi non vivono in luoghi appartati, ma preferiscono vivere dove possono predicare le glorie del Signore. Il livello più elevato di coscienza spirituale si sviluppa non distaccandosi dal mondo ma usando ogni cosa al servizio del Signore. La vera coscienza di Krsna significa operare per soddisfare il Signore e non rifiutare di agire. Se impegniamo tutto al servizio di Krsna, senza desideri personali, possiamo salvarci dalla contaminazione materiale e situarci sul piano trascendentale.
Se eseguiamo il nostro lavoro materiale con efficienza ma senza sforzi eccessivi, possiamo trovare tempo prezioso da dedicare al servizio devozionale. Possiamo riservare una parte considerevole dei nostri introiti e del nostro tempo per diffondere il messaggio puro di Krsna. Possiamo cantare il maha-mantra con sincerità evitando tutte le offese, possiamo stare con i devoti, studiare le Scritture, eliminare tutti i convolgimenti superflui dalla nostra vita, seguire tutti i princìpi di una vita regolata e condurre un’esistenza in armonia con la natura. Non c’è bisogno di cambiare lavoro, ma di cambiare la nostra coscienza.
Quando entro nel mio ufficio un avviso per un’altra riunione appare sul computer. Raccolgo i miei incartamenti e mi reco alla riunione, dove sono tutti sorridenti per il successo della società e per l’importante lavoro che stanno facendo. Non riesco a condividere il loro ottimismo e la loro sensazione di appagamento e di successo. Mi sento solo. Seguo meccanicamente le procedure. Sono completamente perduto nel mio mondo interiore, disperato per il modo insufficiente in cui vivo la mia vita spirituale.
La sera a casa, quando mi siedo davanti all’altare, prego le Divinità di Gaura-Nitai di darmi il Loro aiuto. Prego per la misericordia del mio maestro spirituale, che mi ha indicato il cammino verso il Signore. Ringrazio tutti i devoti che mi hanno presentato la coscienza di Krsna e grazie ai quali la seguo ancora. Sono grato alla meravigliosa istituzione dell’ISKCON che Srila Prabhupada ha fondato e ai suoi discepoli e seguaci che portano avanti la sua missione in tutto il mondo in modo splendido. A un’anima sincera che desidera tornare a casa, da Dio, i nostri acarya hanno lasciato un patrimonio di informazioni e di istruzioni chiare. Dobbiamo solo seguirle senza perderci in speculazioni mentali e ricerche inutili.
Non mi sento all’altezza, ma sono deciso a migliorare la mia vita devozionale. Guardo indietro ai numerosi giorni in cui avevo preso la decisione di mettere più entusiasmo nella vita spirituale senza però riuscirci. Dopo tutto la vita ha il suo modo di evolversi, e io vengo portato via dalle tempeste del tempo. Sono incapace di restare stabilmente ai piedi di loto del Signore, che è la fonte della nostra vita e di tutto ciò che esiste.
C’è però una speranza, quella che un giorno io perda ogni attaccamento per il mondo degli affari; la speranza che un giorno il Signore riverserà la Sua misericordia su di me in modo che possa purificarmi con il servizio devozionale. La speranza che un giorno Egli prenda me, Suo eterno figlio obbediente, nella Sua dimora eterna.
TEMPO AL TEMPO
di Mathuresa dasa
Essendo Dio, Krsna non deve lavorare e Si diverte nella Sua dimora originale, mentre le Sue espansioni e le Sue energie, come il tempo, si occupano della creazione materiale.
È tipico per noi, uomini e donne che lavorano, uscire di casa al mattino presto e trascorrere otto o nove ore al lavoro. La parte di vita trascorsa al lavoro ci dà le risorse per vivere a casa. Le relazioni formali sul lavoro contrastano con l’intimità della vita in famiglia. Anche se i limiti tra queste due situazioni non sono precisi e si sovrappongono, la nostra personalità sul lavoro è diversa da quella a casa.
Krsna, la Persona Suprema, non deve lavorare. Egli è sempre a casa, nella Sua dimora, una proprietà che si espande, eterna e infinitamente varia, al di là del mondo materiale e conosciuta come Goloka Vrndavana. Krsna trascorre la Sua vita di casa come noi trascorriamo la nostra, insieme ai Suoi amici affettuosi e alle Sue cose preferite. La nostra propensione per la vita di casa deriva in origine dalla Sua personalità, perché come anime individuali infinitesimali proveniamo da Lui e dalla Sua dimora trascendentale.
Poiché Krsna ha un debole per le mucche e la pianta di Tulasi, la Sua dimora originale le contiene entrambe in abbondanza. Goloka significa “dimora delle mucche” e Vrndavana “foresta di Tulasi” (Vrnda è un altro nome di Tulasi). Le foreste, i fiumi, i ruscelli, le colline, le montagne, i campi e gli abitanti del villaggio di Goloka Vrndavana sono lo scenario eterno dei felici divertimenti di Sri Krsna e dei Suoi intimi devoti.
Non dovendo lavorare, Krsna non è obbligato a creare il nostro mondo materiale temporaneo. Lo fa per gentilezza, allo scopo di dare possedimenti materiali a quelli di noi che preferiscono vivere indipendentemente da Lui o avere l’illusione di poterlo fare.
Krsna affida l’opera della creazione alla Sua espansione plenaria Maha-Visnu, che è l’originale “personalità operativa” di Krsna. Diversamente dalle nostre personalità sul lavoro, Maha-Visnu, espansione della personalità di Krsna, è anche un individuo con iniziative e individualità proprie. Egli opera in completa autonomia, lasciando indisturbato Krsna nella Sua personalità familiare originale.
Questa capacità di Krsna di espanderSi, pur rimanendo nella Sua dimora, per affidare le attività alle Sue espansioni individuali, senza niente concedere allo stereotipo che vede Dio come un burattinaio, è una caratteristica speciale ed essenziale dell’Essere Supremo.
Sri Krsna gode di scambi intimi e non formali a casa, insieme con i devoti che hanno per Lui sentimenti di familiari e amici, mentre nella funzione di creatore Maha-Visnu attrae quelle persone che preferiscono un Dio dotato soprattutto di caratteristiche di grandiosità, onnipotenza, ispiranti timore e reverenza.
L’importanza di Maha-Visnu è inconcepibile. Per illustrarla, la Bhagavad-gita e gli altri testi vedici affermano che non solo non siamo soli nell’universo, ma che l’universo stesso non è solo. Al di là del guscio incommensurabilmente grande del nostro universo c’è un numero infinito di altri universi. Questi innumerevoli universi, che hanno una forma variamente descritta come semi di mostarda o come uova d’oro, escono fluttuando dai pori della pelle di Maha-Visnu che giace addormentato sull’Oceano Causale, un corpo di acqua trascendentale che separa il dominio spirituale da quello materiale. Maha-Visnu espira e gli universi si manifestano per trilioni di anni. Egli inspira e tutti gli universi, con i loro abitanti, sono riassorbiti nel Suo corpo fino alla successiva espirazione al ritmo ciclico della creazione.
L’attività per Sri Krsna, o per Maha-Visnu, non è quindi un grande sforzo. Egli agisce nel sonno e, come per tutte le altre Sue attività, la Sua opera è un volontario e allegro divertimento per far piacere ai Suoi devoti e dar loro una collocazione.
Si dice che il nostro stato d’incoscienza sotto l’incantesimo della materia sia una parodia del sonno creativo trascendentale di Maha- Visnu. Quaggiù noi dimentichiamo Krsna, Maha-Visnu, il mondo spirituale e la nostra natura individuale eterna.
Il termine tecnico per il sonno di Maha-Visnu è yoga-nidra, un termine che anche i vaisnava usano per indicare la copertura della conoscenza intellettuale, scientifica e quasi-spirituale che, perpetuando la nostra dimenticanza, dirige le nostre attività da svegli.
Sdraiato sull’Oceano Causale, Maha-Visnu Si sveglia per lanciare uno sguardo radioso sulla natura materiale, l’ombra della natura spirituale, rappresentata dalla Sua consorte, la dea Rama Devi. Mentre è sempre in compagnia di Rama Devi, Sri Visnu contatta la natura materiale solo con lo sguardo. Poiché Rama Devi è unita a Maha-Visnu sia come Sua amata compagna che come Sua potenza di conoscenza, ne consegue che sia la conoscenza nella natura materiale che la natura materiale stessa hanno le caratteristiche di un’ombra. La natura materiale, però, non è falsa. È reale, ma la sua effimera realtà ciclica dovrebbe, come le ombre nella caverna di Platone, farci riflettere sulla sostanzialità, vitalità, libertà e varietà dell’originale natura spirituale.
LO SGUARDO DEL TEMPO
Le parole usate per lo sguardo di Maha-Visnu sono tyakta-kalam, a indicare che il Suo sguardo luminoso e il tempo (kala) sono la stessa cosa.
Lo sguardo radioso del tempo trasporta noi, minuscole anime individuali eterne, nel grembo della natura materiale, che è come un’ombra, in cui acquisiamo corpi temporanei sulla base delle nostre attività nella creazione precedente, il precedente respiro di Maha-Visnu. Anche gli universi, che sono usciti dai pori della pelle di Maha-Visnu in forma di seme, penetrano (con le parole di Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati) nella “camera dalla capienza illimitata” della natura materiale, dove si ampliano per accogliere le anime incarnate.
Essendo sempre presente, senza inizio né fine, il tempo controlla e registra tutto. Il tempo porta con sé, nell’attuale creazione, i risultati delle nostre attività e i desideri sviluppati nelle precedenti creazioni, cosicché ogni giorno ci svegliamo e siamo spinti dal tempo e dalle circostanze che ne derivano a confrontarci con i nostri desideri e le nostre attività passate. Come una voce registrata su un nastro, il tempo rappresenta la volontà di Krsna e di Maha-Visnu, sebbene sembri separato da Entrambi.
Secondo la Brahma-samhita, neppure lo sguardo di Maha-Visnu contatta direttamente la natura materiale. Ci sono degli intermediari. La prima è Rama Devi stessa, che “trasporta la funzione del Suo sguardo” nella propria energia-ombra (Brahma-samhita 5.7). E nel punto in cui questo luminoso sguardo del tempo trasportato tocca la natura materiale, appare un alone riflesso conosciuto come Sambhu o Siva. È Sambhu che feconda la natura materiale contattandola direttamente. In questo modo Siva viene identificato con il tempo, in particolare col suo aspetto distruttivo, e a volte è conosciuto come Kala. La sua consorte, la natura materiale, viene spesso rappresentata come la scura dea distruttrice Kali.
Poiché lo sguardo di Maha-Visnu e Siva vengono entrambi identificati con il tempo, tutti e tre sono praticamente identici. Srila Prabhupada afferma quindi in varie occasioni, senza contraddizioni, che Maha-Visnu tocca la natura materiale solo con lo sguardo, solo con la Sua energia del tempo e solo nella forma di Siva. Ecco in breve Maha-Visnu che contatta la natura materiale.
“Sri Visnu agisce per mezzo di Siva per creare il mondo materiale,” scrive Srila Prabhupada. “Quando Krsna dice nella Bhagavad-gita (14.4) di essere il padre che dà il seme di tutti gli esseri viventi (aham bija-pradah pita), Si riferisce alle azioni compiute da Visnu per mezzo di Siva. Quando si devono compiere azioni materiali, Visnu le compie per mezzo di Siva. Quando Visnu non è toccato dall’energia esterna Egli è Visnu, ma quando contatta l’energia esterna lo fa nella Sua forma di Siva.
LE CREAZIONI DI BRAHMA
Dopo aver messo in movimento la creazione fecondando la natura materiale con le anime prigioniere del tempo, Maha-Visnu e Siva si espandono per risiedere individualmente in ogni universo. Brahma, nato da un fiore di loto d’oro che cresce dall’ombelico di Visnu, si unisce a loro. In ogni universo Brahma è il primo nato tra le anime prigioniere del tempo. Come il resto di noi e a differenza di Visnu e di Siva, Brahma, sebbene molto potente, si trova in questo universo a causa delle sue attività passate, del suo karma, della sua ricerca del piacere lontano da Krsna.
Avvalendosi del linguaggio figurato del fiore di loto, Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati afferma che non solo Brahma, ma tutti gli esseri viventi hanno un posto “sul livello superiore” di questo loto e un collegamento con Dio attraverso la sua forma dorata, che rappresenta la conoscenza pura.
Seduto in meditazione in cima al fiore di loto, Brahma, spinto dalle impressioni accumulate nella vita precedente, come accade anche a tutti noi, occupa la mente nella creazione dei sistemi planetari, delle varie specie di vita e di altri aspetti del progetto universale. In questo modo a tutte noi, anime individuali, sono forniti corpi di varie specie, adatte alla mentalità che abbiamo sviluppato nelle nostre vite passate.
Durante una vita di Brahma ruotiamo nel ciclo delle nascite e delle morti, assumendo e lasciando corpi in base al livello di coscienza prodotto dalle attività che abbiamo scelto di compiere.
Alcune cifre date dalla Bhagavad-gita dimostrano che un giorno di Brahma, cioè le sue ventiquattro ore, è approssimativamente uguale a otto miliardi e mezzo di anni solari. Cento anni composti da questi giorni è la durata della vita di Brahma, che a sua volta è uguale a un atto respiratorio, un’espirazione e un’inalazione, di Sri Visnu.
Mentre potenzia Brahma a creare e Siva a distruggere, Visnu Si fa carico del mantenimento di ogni universo. Tutte le attività della natura materiale ricadono in queste tre ampie categorie della creazione, del mantenimento e della distruzione sotto il controllo di queste tre personalità. Noi creiamo le nostre abitazioni, le nostre famiglie, le istituzioni, le nazioni e le civiltà, le manteniamo e le distruggiamo, o guardiamo mentre vengono distrutte. Al di là dell’influenza dell’uomo, tutti i corpi materiali, come le piante e gli animali, o i corpi naturali quali le montagne, i pianeti e gli universi, vengono creati, mantenuti e infine annientati sotto la supervisione di questo triunvirato diretto da Visnu.
All’inizio, essendo il punto di contatto con la natura materiale, Siva è uno strumento della creazione. Sambhu significa genitore o progenitore. Anche i racconti sulla storia universale contenuti nei Purana lo rappresentano come aiutante di Visnu nella Sua opera di mantenimento mentre allontana o combatte gli elementi malvagi della popolazione universale.
Siva, però, è soprattutto conosciuto come il distruttore. Si dice che egli compia la tandava-nrtya, una danza selvaggia durante la quale distrugge non solo gli universi, ma tutto ciò che di grande e di piccolo si trova in essi. Tutto ciò che è materiale scompare, calpesta to dall’inesorabile danza del tempo.
In ogni universo Siva è noto anche col nome di Rudra e sua moglie col nome di Rudrani, a indicare che essi gridano a gran voce, e che per la loro natura violenta e distruttiva incitano tutti noi a gridare sotto le inesorabili sofferenze del mondo materiale. Rudra indica anche il colore blu-rossastro, che si dice sia il colore della collera.
Sotto forma dello sguardo di Maha-Visnu, il tempo scorre e dirige la totalità della manifestazione materiale, compresi la creazione, il mantenimento e la distruzione. L’effetto materiale complessivo del tempo, però, è la distruzione, effettuata dalle espansioni di Siva e di Rudra.
IL TEMPO NELLA NATURA SPIRITUALE
La creazione, il mantenimento e la distruzione che si susseguono nel tempo non sono caratteristiche della natura spirituale. Le Upanisad affermano che prima della creazione non c’erano né Brahma, né Siva, né il sole, né le stelle e neanche il cielo. C’era solo Visnu, le Sue espansioni e le anime pure che non avevano alcun desiderio di vivere separatamente da Lui. Con la sola presenza di Visnu, senza Siva e senza Brahma, c’è soltanto il mantenimento, non c’è né creazione né distruzione. Il tempo esiste anche nella natura spirituale, ma senza il suo aspetto distruttivo e senza la caratteristica dell’aspetto creativo, che è la controparte della distruzione.
Inoltre è detto che la natura spirituale è più ricca di attività della natura materiale, che è solo il suo riflesso. Là Visnu e i Suoi devoti si espandono spiritualmente per arricchire, variare e accrescere all’infinito i divertimenti di una felice devozione d’amore.
Mentre tutto quaggiù avviene sotto lo sguardo attento del tempo, nella natura spirituale il tempo ha solo la funzione di mantenere, grazie all’unica influenza di Visnu o, in altre parole, là tutto esiste eternamente. La nostra esperienza della triplice natura del tempo e della sua caratteristica distruttiva è soltanto un’esperienza materiale.
La Brahma-samhita parla del tempo spirituale come di una “presenza costante concentrata” e come “tempo trascendentale eternamente presente”. Inoltre descrive la dimora di Sri Krsna a Goloka come “un luogo dove c’è l’eterna esistenza del tempo trascendentale, sempre presente, senza passato o futuro, dunque totalmente esente dall’influenza del tempo che scorre anche per un solo secondo”.
Per noi, uomini e donne che lavorano, il modo di staccarci dalle tristi condizioni della natura materiale e del tempo materiale consiste nell’uso della nostra vita lavorativa e vita familiare come mezzi per meditare e adorare la Persona Suprema. Le Upanisad affermano che le persone inclini alla spiritualità, da Brahma giù fino agli esseri umani, guardano sempre alla suprema dimora di Visnu con tutto il loro cuore e la loro mente: om tad visno paramam padam sada pasyanti yat suryayah.
Da questo punto di vista non c’è questione d’inattività perché agiamo incessantemente, sia nella natura materiale sia in quella spirituale. Siamo sempre occupati a realizzare i nostri ideali, quali essi siano. Siamo entrati nella natura materiale seguendo un desiderio illusorio d’indipendenza dal Signore e l’intera creazione materiale, pressoché incommensurabile, si è manifestata perché potessimo soddisfare questo desiderio.
Dirigere nuovamente i desideri e le attività verso Visnu e Krsna può portarci dei cambiamenti almeno altrettanto incommensu- rabili. La pratica del bhakti-yoga descritta dettagliatamente nella Bhagavad-gita, nel Bhakti-rasamrta-sindhu e in altri libri, è centrata sull’ascolto e sulla descrizione delle qualità e delle glorie della Persona Suprema e della natura spirituale. Questo metodo, anche se affrontato con cautela teoretica, può trasformare la nostra personalità, sia al lavoro che in famiglia, purificandola e spiritualizzandola, e facendoci così risvegliare dalla nostra con- dizione dormiente nella natura materiale.
IL TERMINE DOVERE È UNA BRUTTA PAROLA?
di Satyaraja dasa
Le idee del filosofo occidentale Kant si avvicinano al concetto di dharma.
Per qualcuno dovere è una brutta parola – noi vogliamo fare quello che decidiamo di fare. Punto e basta. Al diavolo il dovere. Esaminiamo il problema con maggiore serietà: che cos’è il dovere? Dovrei preoccuparmene? Evidentemente dovere ha un significato diverso a seconda delle persone, eppure ci si chiede di frequente: che cosa dovrei fare? C’è una ragione per cui sono stato messo su questa Terra?
Dovere è una parola riferita in modo impreciso a qualsiasi azione o serie di azioni, considerate moralmente necessarie, indi- pendenti da quello che piace o non piace a livello personale. Dal punto di vista religioso il dovere ultimo è verso Dio e verso il nostro prossimo.
Immanuel Kant (1724-1804) fu uno dei molti filosofi occidentali che hanno scritto sul tema del dovere. Egli chiamò il suo sistema di pensiero “deontologia”, che letteralmente significa “lo studio del dovere”. Una delle implicazioni più importanti della deontologia è che il comportamento di una persona può essere sbagliato anche se dà un risultato positivo e un’azione può essere virtuosa anche se ne dà uno negativo. In contrasto con il conseguenzialismo, una filosofia che afferma “il fine giustifica i mezzi”, la deontologia stabilisce che il modo in cui una persona ottiene un risultato in generale è altrettanto importante del risultato stesso.
Nei sistemi morali basati sulla deontologia dobbiamo comprendere quali sono i nostri doveri morali e quali le norme adatte a regolare questi doveri. Quando seguiamo il nostro dovere ci stiamo comportando in modo morale, quando non lo facciamo, ci comportiamo immoralmente. In genere Kant accetta che i nostri doveri, le nostre regole e obblighi siano determinati da Dio. Essere morali, allora, è una questione di obbedienza alle leggi divine, sebbene in alcuni casi le persone abbiano un senso innato del bene e del male indipendente dalla loro fede.
Queste idee corrispondono al concetto di dharma, che a sua volta mette in evidenza vari tipi di dovere. La letteratura vedica afferma che abbiamo due tipi di dovere datici da Dio: i doveri temporanei relativi al corpo (varnasrama-dharma) e i doveri eterni che nascono dalla nostra innata natura di esseri spirituali eterni (sanatana-dharma).
Nel bhakti-yoga il dovere è la caratteristica principale e la motivazione portante della vaidhi-bhakti, o devozione regolata verso il Signore. Se eseguita in modo appropriato la vaidhi-bhakti porta alla perfezione del servizio devozionale regolato e può anche condurre alla raganuga-bhakti, o devozione spontanea, che mette da parte il dovere e si manifesta come amore spontaneo per Dio. Perciò dharma – o pratica deontologica in termini occidentali – può far realizzare lo scopo ultimo della vita.
CHE COS’È ESATTAMENTE IL DHARMA?
La parola dharma viene dalla radice sanscrita dhri, che significa “sostenere, mantenere o portare”. Nel linguaggio comune dharma significa fede, dovere, legge divina, il modo giusto di vivere o il percorso della virtù, definizioni di cui Kant sarebbe felice. Ma non è solo questo. La parola derivata dhru o dhruva, che significa “appoggio”, implica l’equilibrio degli estremi per mezzo di un asse. Dharma pertanto si riferisce a quel qualcosa d’invariabile al centro dell’esistenza che regola il cambiamento senza parteciparvi, rimanendo costante. In definitiva dharma è il principio centrale organizzatore del cosmo che sostiene e mantiene tutte le forme di esistenza.
Sebbene la parola dharma a volte venga definita come “religione”, Prabhupada fece rilevare l’errore di questa traduzione. “Religione” comporta una fede personale che può cambiare, ma dharma è la realtà interiore che fa di una cosa quella che è. Produrre miele è il dharma dell’ape, dare latte è il dharma della mucca, splendere è il dharma del sole, e scorrere è il dharma del fiume. Dharma è l’essenza di una cosa.
IL VARNASRAMA-DHARMA
Sebbene il sanatana-dharma (“dovere eterno”) di ogni essere vivente sia il servizio a Dio, nel mondo materiale questo servizio si manifesta in una varietà di modi, secondo la conformazione psicologica della persona, ed è chiamato sva-dharma, o dovere personale basato sulle peculiari inclinazioni e sul tipo di corpo. È chiamato anche varnasrama-dharma.
La spiegazione più nota del sistema del varnasrama (o quanto- meno del varna o dovere sociale che ne è parte) si trova nella Bhagavad-gita (4.13). Qui Sri Krsna spiega di aver creato la società umana con quattro classi sociali naturali, o varna. Inoltre Egli insegna che gli specifici doveri religiosi prescritti per ogni classe sociale consentono l’applicazione più efficace degli eterni princìpi religiosi nel mondo materiale.
Gli ordini sociali sono: (1) i brahmana: intellettuali e sacerdoti; (2) gli ksatriya: politici, amministratori e guerrieri; (3) i vaisya: agricoltori, commercianti e banchieri e (4) i sudra: operai e artigiani. Sri Krsna dice che ogni persona trova la sua naturale posizione in una di queste classi basate sulle occupazioni, in linea con le sue qualifiche e le sue attività. Si deve sottolineare che in origine questo sistema era basato sulle attitudini vocazionali e sulle inclinazioni di una persona e non sulla sua nascita.
Quello di cui parliamo qui sono tipi di personalità. Il brahmana, per esempio, ha una natura contemplativa e incline allo studio. È attratto dalla virtù ed è gentile e pulito. La sua visione si concentra verso l’alto, verso una realtà più elevata.
Lo ksatriya, invece, è portato a essere cortese, cavalleresco e i suoi interessi in generale sono più “di questo mondo”. Tende all’azione e il suo potere d’analisi è acuto. La sua caratteristica naturale è la nobiltà, a parte quando le sue passioni prendono il sopravvento su di lui. La sua attenzione si concentra principalmente sul portare a termine le cose, ma con onore, virtù e integrità.
Il vaisya, da parte sua, tende a essere legato ai valori materiali perché la sua vita ruota intorno al denaro. Sicurezza, prosperità e stabilità economica sono le sue motivazioni profonde e gli è difficile vedere al di là di queste.
Se la visione del vaisya è in qualche modo limitata, quella del sudra è ancor più compromessa. Costui si sente a suo agio solo quando lavora duramente in un impegno fisico. La sua natura è quella di assistente, non generalmente incline ad idee originali. La sua vita si svolge intorno all’attività fisica e ai piaceri del corpo più immediati; preferisce pensieri di routine anziché d’innovazione.
È evidente che queste classificazioni possono essere applicate a tutti gli esseri umani. Ogni persona ha una naturale inclinazione verso un particolare tipo d’impegno e tutti gli sforzi trovano posto in una di queste grandi categorie. Quindi il sistema sociale originale enunciato nella Bhagavad-gita è valido per tutti, o quantomeno riguarda naturalmente la vita di tutti. Esso è pertanto una componente del sanatana-dharma, l’occupazione eterna di ogni anima.
Gli asrama, ovvero la seconda parte del sistema del varnasrama, rappresentano un sistema spirituale a quattro livelli in cui una persona è prima di tutto uno studente (brahmacari), poi si sposa (grhastha) ed infine si ritira (vanaprastha) e rinuncia a tutto (sannyasa) in preparazione della morte. In molti modi questi asrama possono non sembrare livelli spirituali, anzi possono apparire come fasi comuni della vita che si realizzano col passare del tempo, e in verità lo sono.
Come gli ordini sociali enunciati da Krsna, anche i quattro ordini spirituali possono essere trovati più o meno nelle culture di tutto il mondo. Infatti, in tutte le civiltà ci sono persone religiose che praticano il celibato, persone sposate che vogliono conseguire valori spirituali più elevati, persone che affrontano la vecchiaia realizzando l’importanza della rinuncia, e persone che, consapevoli dell’inevitabilità della morte, fanno voto di dedicare il resto dei loro giorni a perseguire la coscienza di Dio e a condividerla con gli altri.
Comunque, ciò che è unico nelle Scritture vediche è che in esse si trovano la guida e i modelli di comportamento appropriati per ciascuno dei quattro asrama e ciò aiuta la persona ad evolvere spiritualmente. Il progresso sul cammino spirituale può essere comprovato dai diversi percorsi comportamentali che riflettono diversi livelli di coscienza, anch’essi richiamati nelle Scritture. Perciò mentre la forma base del varnasrama esiste in tutto il mondo, i devoti di Krsna insegnano che questo sistema contenuto nella letteratura vedica offre un metodo strutturato per ottenere la perfezione spirituale.
IL SANATANA-DHARMA
Come ho già detto, il dharma fa riferimento a quell’attività o funzione che non può essere cambiata. Il calore e la luce, per esempio, sono il dharma del fuoco; senza calore e senza luce il fuoco non ha significato. Il dharma dell’anima è servire Dio. Più precisamente questo è il nostro sanatana-dharma, la nostra eterna funzione indipendentemente da quale corpo abitiamo. Nella coscienza ma- teriale perdiamo di vista il nostro naturale sanatana-dharma e c’impegniamo in attività legate al corpo. La nostra originale natura spirituale di anime si addormenta, sostituita temporanea mente da una natura deformata, quella dell’identificazione con il corpo, con le sue sofferenze e i suoi piaceri. Il sanatana-dharma si ravviva solo quando l’anima si colloca in prossimità dell’elemento spirituale, Dio stesso (per mezzo della preghiera, del canto, dell’adorazione e via dicendo), le Scritture e i puri devoti del Signore.
Grazie a questo contatto, la vera natura dell’anima si afferma di nuovo, come il ghiaccio che torna al suo stato naturale di liquido se esposto ai raggi del sole. Questa è la spiritualità cosciente di Krsna, sia che ci si riferisca ad essa con il termine vaisnavismo, come per millenni è stato fatto in India, sia con il suo nome più universale di sanatana-dharma.
DI NUOVO KANT
Che cosa direbbe Kant di tutto questo? Come cristiano apprezzava le prospettive teologiche e cercò di armonizzare la ragione con la fede in Dio. La grandezza di Kant però proviene da quello che egli chiamò “Imperativo Categorico”, o verità universali a cui si può dare un fondamento logico. È una specie di versione preliminare del sanatana-dharma. In aggiunta, o come parte dell’Imperativo Categorico, egli voleva che i suoi lettori si ponessero la seguente domanda: “Potrei accettare un mondo in cui tutti si comportano come me?” Secondo Kant questa domanda dovrebbe guidare il nostro senso morale ed etico. In altre parole, se io agisco in modo errato, egoistico, il mio comportamento contrasta con i diritti e le libertà degli altri. Se invece agisco in modo disinteressato, tenendo conto delle altre persone e della natura che mi circonda, ciò porta a un bene maggiore ed è nell’interesse superiore di tutti.
Come devoti di Krsna troviamo che l’ipotesi fondamentale di Kant costituisce un buon modo di ragionare: riconosciamo i benefici di una vita disinteressata in coscienza di Dio. Se le persone cantassero i nomi di Dio e si astenessero dal mangiare carne, dal sesso illecito, dagli intossicanti e dal gioco d’azzardo, il mondo sarebbe migliore. Se tutti accettassero i princìpi non settari della religione universale, il sanatana-dharma, non ci sarebbero “noi e loro”, né guerre di religione, né litigi basati sull’errata identificazione del corpo con il sé.
In generale, il mondo materiale è il luogo dove le persone agiscono egoisticamente, sono concentrate sul piacere personale e creano così una situazione molto difficile. Un mondo in cui agiamo come goditori indipendenti, divorziati da Dio, diventa un luogo di rovina. Se lo scopo della vita è il piacere sfrenato, il prossimo diventa qualcosa di cui servirsi, apprezzabile solo finché ci porta piacere.
La coscienza di Krsna afferma che il vero Imperativo Categorico è servire Dio. Sia che Lo serviamo in linea con il sanatana-dharma in un modo generale, onnicomprensivo, sia che c’impegniamo secondo le nostre predilezioni nel sistema del varnasrama, servire Dio è un dovere. È l’essenza del dharma, è il dovere più elevato.
Sicuramente questa è una verità che Kant non negherebbe mai.
DHARMA: LE RADICI VEDICHE DELLA PAROLA
La parola dharma è riconducibile al termine vedico rtam, da cui deriva la parola inglese right (nel senso di “giusto”). Dai Veda originali impariamo ad agire secondo le leggi universali e queste azioni sono considerate la cosa giusta da fare. Da rtam deriva anche la parola rituale, che, se eseguito in modo appropriato, aveva il potere di portarci più vicini alla realtà ultima.
Le azioni considerate peccaminose dai Veda sono quelle contrarie al rtam. In sanscrito molte di esse cominciano con la lettera “m”. Per esempio, mangiare pesce (matsya), mangiare carne (mamsa), bere vino (madya), mangiare cereali non offerti (mudra) ed avere sesso sregolato (maithuna).
Secondo i saggi vedici la pratica errata di queste azioni che iniziano con “m” porta alla concezione materialistica della vita, che culmina con la morte. I saggi dell’antichità, che usano un simbolismo letterario, dicono che per coloro che sono dediti a questi comportamenti così sconvenienti si potrebbe mettere una “m” davanti alla parola rtam, trasformandola in mrtam: morte. Chiaramente, i saggi vedici erano sostenitori del fare le cose nel modo giusto, ognuno secondo il proprio dharma.
OCCHI PER VEDERE DIO
di Mohini Radha devi dasi
Quando avevo otto anni i miei occhi si affaticavano quando cercavo di vedere quello che la mia insegnante scriveva sulla lavagna. Mia madre mi portò da un oculista che mi prescrisse gli occhiali. Le lenti degli occhiali da vista correggono un’imperfezione fisica curvando la luce. Gli scienziati usano lenti più potenti per i loro microscopi e telescopi che, “correggendo” la loro visione, permettono di vedere oggetti piccoli o distanti.
Purtroppo, nessuna lente tecnologica ci permetterà mai di vedere Krsna, il Signore Supremo. Egli Si trova al di là dei nostri sensi grossolani. Trascende le tre influenze della natura materiale (virtù, passione e ignoranza), perciò nessun individuo soggetto alle interazioni di queste tre influenze può vedere Krsna. Tutti, quindi, a livello spirituale, possiamo essere considerati ciechi. Poiché questa imperfezione visiva esiste a livello spirituale, il rimedio dev’essere spirituale. Noi possiamo diventare idonei a vedere Krsna solo praticando il servizio devozionale sotto una guida appropriata. Srila Prabhupada rispose così a qualcuno che gli chiedeva se poteva mostrargli Dio: “Sì, potete vederLo, ma prima dovete avere gli occhi.”
CECITÀ SPIRITUALE
Qualche volta le persone dicono che vedere è credere, e poiché non possono vedere Dio, non accettano la Sua esistenza. Srila Prabhupada definiva gli atei persone “spiritualmente cieche che soffrono della cataratta dell’ignoranza.” L’ignoranza è come la cataratta che oscura la vista e impedisce di vedere la verità.
Nella Bhagavad-gita si fa menzione della cecità spirituale di Dhrtarastra (un re cieco anche fisicamente), che impedì a lui e ai suoi figli di raggiungere un accordo con i Pandava, devoti del Signore Supremo. Poiché Dhrtarastra era un sovrano, la sua cecità spirituale fu anche dannosa dal punto di vista sociale e portò alla guerra di Kuruksetra. La sua cecità contagiò anche i suoi seguaci. Srila Prabhupada spesso diceva: “Quando un cieco guida un altro cieco, ambedue cadono nel fosso.”
Nonostante la cecità, Dhrtarastra ebbe l’opportunità di “vedere” quello che succedeva sul campo di battaglia di Kuruksetra grazie alle descrizioni del suo segretario Sanjaya. Vyasadeva aveva donato a Sanjaya una visione mistica che gli permetteva di vedere tutta la battaglia che si svolgeva a Kuruksetra, compreso il dialogo tra Krsna ed Arjuna, conosciuto come Bhagavad-gita. Sfortunatamente la cecità spirituale e l’attaccamento a un figlio malvagio impedirono a Dhrtarastra di comprendere gli insegnamenti di Krsna.
Come Dhrtarastra, le anime prigioniere della natura materiale sono spiritualmente cieche e possono essere curate solo con la sottomissione a un maestro spirituale autentico. Sempre nella Bhagavad-gita (4.34) Krsna dà queste istruzioni: “Cerca di conoscere la verità avvicinando un maestro spirituale, ponigli delle domande con sottomissione e servilo. L’anima realizzata può rivelarti la conoscenza perché ha visto la verità.”
Il cieco non può aiutare un altro cieco, ma chi ha la visione della conoscenza trascendentale può dare la “vista” agli altri. Il Signore in persona ha dato inizio a questo metodo, e la conoscenza, trasmessa direttamente da Lui, ci arriva attraverso la successione dei maestri.
Come uno studente che vuole imparare la medicina si reca da un medico esperto per studiare, così un ricercatore della scienza spirituale deve andare da un maestro spirituale autentico per apprenderla. Come rappresentante di Krsna, il maestro spirituale elimina la cecità delle anime condizionate dando loro la vista della vera conoscenza. Perciò noi preghiamo:
om ajnana-timirandhasya jnananjana-salakaya
caksur unmilitam yena tasmai sri-gurave namah
“Offro i miei rispettosi omaggi al mio maestro spirituale, che con la torcia della conoscenza mi ha aperto gli occhi, oscurati dalle tenebre dell’ignoranza.” Dando la conoscenza e la visione spirituale, il maestro cura la cecità causata dagli attaccamenti materiali.
Le “tenebre dell’ignoranza” sono l’ignoranza della nostra posizione costituzionale come anime spirituali e la nostra falsa identificazione col corpo. Un puro devoto, fisso nella coscienza di Krsna, realizza che il corpo è temporaneo e smette di distinguere i vari esseri viventi in base
al loro corpo. Sapendo che tutti gli esseri sono parti di Krsna, “vede con occhio uguale il saggio nobile ed erudito, la mucca, l’elefante, il cane e il mangiatore di cani.” (Bg. 5.18) Krsna dice ad Arjuna che questa visione spirituale – cioè vedere l’anima al di là del corpo – è la “visione dell’eternità” (Bg. 13.32).
Poiché gli esseri sono per loro costituzione collegati a Dio, la Persona Suprema, i devoti che fanno avanzamento nel servizio d’amore a Krsna alla fine si qualificano per vederLo. Krsna è nayana-abhiramam, molto piacevole per gli occhi, infatti possiede la bellezza suprema, una delle sei principali forme di opulenza (bellezza, ricchezza, potenza, fama, conoscenza e rinuncia). Vedere Krsna è un dono che supera ogni altra cosa.
Quando Krsna era presente sulla Terra, donò questa benedizione a molti, ma non tutti Lo videro nello stesso modo. Krsna spiega: “Nella misura in cui si abbandonano a Me, Io li ricompenso.” (Bg.4.11) Qualcuno vedeva Krsna come il Signore Supremo, mentre altri Lo vedevano come una persona comune – un semplice mandriano, il rappresentante dei Pandava o l’umile cocchiere di Arjuna. Egli rivelò la Sua forma universale sul campo di battaglia di Kuruksetra, ma questa visione fu riservata ad Arjuna, Suo grande devoto e amico. Srila Prabhupada dice che Arjuna aveva “occhi trascendentali” grazie alla sua devozione per il Signore. (B.g. 11.54, spiegazione)
Krsna è sac-cid-ananda-vigraha, la forma dell’eternità, della conoscenza e della felicità. I puri devoti Lo vedono così com’è e interagiscono con Lui secondo sentimenti diversi assecondando le loro naturali tendenze. Accecati dall’ignoranza, coloro che sono contaminati dalla materia e hanno tendenze demoniache non possono percepire la supremazia di Krsna. Il Signore dice: “Gli sciocchi Mi deridono quando scendo nella forma umana. Non conoscono la Mia natura trascendentale e la Mia supremazia su tutto ciò che esiste.” (Bg. 9.11) Srila Prabhupada spiega che coloro che riuscirono a vedere la forma originale di Krsna poterono tornare con Lui nel Suo regno, ma “coloro che non riuscirono a vedere il Signore così com’è rimasero attaccati ai loro desideri materiali” e al ciclo materiale delle nascite e delle morti. (Srimad-Bhagavatam 3.2.11)
D’altra parte, vedere Krsna è così purificante che perfino i malvagi uccisi da Lui ottennero la liberazione. Dopo la partenza di Krsna, Uddhava disse a Vidura che tutti coloro che avevano visto il volto di Krsna sul campo di battaglia di Kuruksetra – senza considerare da quale parte combattessero – dopo la morte ottennero la dimora di Krsna (Srimad-Bhagavatam 3.2.20) perché la vista del Signore rende la vita piena di successo.
LA GEMMA PIÙ PREZIOSA
In ultima analisi, l’opportunità di vedere Krsna dipende dalla Sua misericordia, che si ottiene offrendoGli con devozione il nostro servizio. Il quarto canto dello Srimad-Bhagavatam riporta l’incontro di Krsna con il piccolo Dhruva, esempio del favore che il Signore concede al Suo devoto incontrandolo personalmente. Questo episodio dimostra che il servizio devozionale purifica coloro che lo praticano e trasforma i loro desideri materiali in realizzazioni trascendentali.
Il padre di Dhruva, il re Uttanapada, era l’imperatore del mondo e aveva due regine, Suruci e Suniti. Essendo un bambino, Dhruva voleva sedersi in braccio al padre, ma la matrigna, Suruci, la preferita dal re, disse a Dhruva che non era qualificato per sedersi sul trono o sulle ginocchia del re, perché non era nato da lei. Lo informò che stava “cercando di soddisfare un desiderio impossibile”. Poiché era la regina favorita, era diventata orgogliosa della sua posizione a spese altrui.
La madre di Dhruva, Suniti, consolò suo figlio e gli consigliò di adorare i piedi di loto del Signore Supremo affinché il suo desiderio venisse esaudito. Con un certo sarcasmo, anche Suruci aveva dato a Dhruva un’istruzione analoga. Dhruva andò dunque nella foresta e fece molte austerità per ottenere il favore del Signore. Là incontrò il saggio Narada che diventò il suo maestro spirituale. Dhruva gli chiese come avrebbe potuto ottenere una posizione più elevata di chiunque altro, perfino di suo padre, l’imperatore del mondo, e di suo nonno, Brahma. Affinché venisse esaudita questa richiesta apparentemente impossibile, il saggio raccomandò a Dhruva di dedicarsi completamente al servizio devozionale, preferibilmente in un luogo sacro. Gli suggerì di recarsi a Madhuvana, una delle dodici foreste di Vrndavana, sulla riva del fiume Yamuna. Poi gli descrisse il meraviglioso aspetto del Signore che risiede nel cuore e gli consigliò di meditare su di Lui: questo metodo avrebbe purificato la sua coscienza. A Dhruva dette anche un mantra per glorificare il Signore e lo invitò ad adorarLo con frutta, fiori e foglie di tulasi.
Dhruva seguì alla lettera le istruzioni di Narada e alla fine, con la sua devozione, “catturò Dio, la Persona Suprema”. Sebbene fosse solo un bambino, le sue austerità furono così severe che i deva, che governano i fenomeni del mondo materiale, si rivolsero angosciati al Supremo perché erano preoccupati che si verificasse uno squilibrio nell’universo. Il Signore li tranquillizzò dicendo che avrebbe interrotto le austerità del bambino.
Nel frattempo Dhruva continuava la meditazione sulla forma del Signore nel cuore. All’improvviso, però, quella forma sparì e la sua intensa concentrazione s’interruppe. Aprì gli occhi e vide il Signore in persona in piedi davanti a lui.
Lo Srimad-Bhagavatam (4.9.3) descrive l’intensità di questo darsana (incontro): “Nella sua estasi, Dhruva contemplava il Signore come se Lo stesse bevendo con gli occhi, come se con la bocca stesse baciando i piedi di loto del Signore e Lo stesse stringendo tra le braccia.” Voleva offrirGli delle preghiere, ma era inesperto. Allora il Signore lo benedisse toccandogli la fronte con la Sua conchiglia e Dhruva ricevette così la conclusione di tutta la conoscenza vedica e poté glorificare il Signore con parole appropriate.
Per Dhruva il darsana del Signore fu come vedere una rara gemma preziosa. I desideri materiali che all’inizio erano stati l’ispirazione per le sue austerità gli apparvero privi d’importanza in confronto alla pura devozione. Ora, comprendendo il vero scopo della sua vita, sentì il rimorso di aver pregato per “cose inutili” come il regno e il prestigio. Srila Prabhupada cita un verso dell’Hari-bhakti-sudhodaya (7.28) che riporta le parole rivolte da Dhruva al Signore: “Mi ero sottoposto ad austerità molto severe per ottenere il regno e la terra di mio padre, ma ora ho visto Te, mio Signore, che neppure grandi saggi e santi possono vedere. Ho lasciato la mia casa per cercare solo pezzi di vetro e ho trovato invece un preziosissimo diamante. Ora sono soddisfatto. Non ho più bisogno di chiederTi nulla.”
La visione del Signore è come un prezioso gioiello in confronto ai “frantumi di vetro” dei desideri materiali che le anime condizionate considerano come meta finale. Cercare cose inutili invece dei veri valori dimostra la cecità propria del materialismo.
Il servizio devozionale di Dhruva guarì la sua cecità spirituale e il Signore lo benedisse mostrandoSi davanti a Lui. Anche se il suo desiderio iniziale era materiale, il servizio di devozione sotto la guida del suo maestro spirituale lo rese idoneo a vedere il Signore. Grazie alla sua coscienza pura, Dhruva fu pienamente appagato dal solo fatto di aver visto il Signore.
VEDERE DIO ORA
I puri devoti del Signore possiedono una visione trascendentale che permette loro di vedere sempre Krsna. Secondo la Brahma-samhita (5.38): “Coloro che sono nell’estasi dell’amore per Dio vedono sempre Syamasundara (Krsna) nel loro cuore grazie all’amore e al servizio devozionale reso al Signore.”
Questo genere di visione richiede una devozione pura, cosa molto rara, ma anche i devoti neofiti, che non hanno ancora sviluppato questa pura visione, possono apprezzare la forma di Krsna, sebbene in un modo diverso.
Poiché Krsna è al di là dei nostri sensi materiali, non può essere visto con gli occhi che abbiamo ora, ma per aiutare il progresso dei Suoi devoti, Egli appare nella Sua forma di Divinità nel tempio. Sebbene i sensi materiali percepiscano questa forma come fatta di pietra, di metallo, di legno o dipinta su tela, la Divinità o arca-murti è una forma reale del Signore. Non è né un idolo né un simbolo, ma è il Signore stesso, che Si mostra in modo che tutti possano vederLo. Per la Sua misericordia Egli appare in questo modo e Si rivela al devoto secondo il suo livello di abbandono. La capacità di vederLo indica “in quale proporzione la nostra vita si è purificata dal peccato”, spiega Srila Prabhupada (Srimad-Bhagavatam 3.1.17, spiegaz.) In altre parole, la nostra capacità di vedere Krsna riflette il livello della nostra partecipazione alla coscienza di Krsna.
I devoti pregano dunque la Divinità di Jagannatha (Krsna) per avere la visione spirituale della Sua vera forma: jagannatha-svami nayana- patha-gami bhavatu me: “O Signore dell’universo, Ti prego, rivelaTi a me.” Può sembrare strano che un devoto che sta davanti a Jagannatha Gli chieda di vederLo, ma in realtà egli chiede con questa preghiera di ottenere una visione spirituale per vederLo in modo appropriato.
Poiché Krsna e la Divinità sono la stessa cosa, la Sua presenza nella forma della Divinità ha lo stesso fine della Sua apparizione personale. Krsna scende era dopo era “per liberare le persone pie e annientare i miscredenti” (Bg. 4.8), cioè Egli appare per uccidere i malvagi e dar piacere ai devoti. La Caitanya-caritamrta (Madhya 20.219) spiega: “Il Signore è presente in tutti gli universi in differenti forme al solo fine di soddisfare i devoti. Distrugge così i princìpi dell’irreligione e stabilisce i princìpi religiosi.”
I nostri sensi possono essere imperfetti e contaminati dalla materia, ma si purificheranno col servizio devozionale al Signore, com’è dimostrato dall’esempio di Dhruva Maharaja. Servizio devozionale significa usare tutti i sensi al servizio di Dio per purificarli a poco a poco. Srila Prabhupada consiglia “di non permettere agli occhi di vedere nient’altro che la stupenda forma di Krsna”(Bg. 13.8-12, spiegazione). Krsna è detto Govinda – Colui che dà piacere alle mucche e ai sensi. In risposta alla nostra determinazione spirituale e al nostro servizio devozionale, Egli ci darà la capacità trascendentale di vederLo a tu per tu. Questo è qualcosa che non potremo mai sperare di ottenere con le lenti correttive degli occhiali, con i microscopi o con i telescopi.
SCIENZA: MANCHERANNO SEMPRE DUE DITA PER COMPRENDERE L’UNIVERSO
di Caitanya Carana dasa
I passatempi di Sri Krsna nella forma di Damodara ci insegnano che le nostre grandi intelligenze non serviranno a portarci molto lontano.
Il periodo tra metà ottobre e metà novembre corrisponde in India, e specialmente a Vrndavana, luogo dei divertimenti di Krsna 5.000 anni fa, al mese di Damodara, così chiamato per il passatempo in cui la madre di Krsna, Yasoda, cerca di legarLo con una corda. Purtroppo la corda era più corta di due dita. Yasoda aggiungeva altra corda, ma per quante corde annodasse insieme, la corda rimaneva sempre più corta di due dita.
Il significato di questo lila, o passatempo, è che per quanti sforzi possiamo fare, falliremo sempre nei nostri tentativi di comprendere Dio solo con la nostra intelligenza. La scienza sta sperimentando la stessa cosa per quanto riguarda l’universo, che la letteratura vedica definisce come un prodotto della superintelligenza di Dio. Secoli di ricerche cosmologiche hanno aumentato l’informazione scientifica, ma non la comprensione scientifica, a causa di “due” punti deboli imprevisti.
1. Quanto più gli scienziati accumulano conoscenza, tanto più si rendono conto di quanto poco sanno. Gli scienziati hanno “conquistato” lo spazio – e si sono resi conto di quanto poco in realtà sappiano di esso. Per i non informati le missioni spaziali hanno messo in evidenza la grandezza dell’uomo, ma per coloro che hanno conoscenza in questo campo le stesse missioni hanno dimostrato la piccolezza dell’uomo. La ricerca spaziale rivela che l’universo contiene più corpi celesti di quanti siano i granelli di sabbia di tutte le spiagge del mondo e che la nostra Terra è solo uno di questi granelli cosmici. Non ci si deve meravigliare se il precedente presidente dell’associazione americana per lo sviluppo della scienza abbia ammesso: “La cosmologia... significa grande insicurezza perché studia un immenso universo con un campione piccolo e non affidabile.”
2. Quanto più gli scienziati sviluppano la conoscenza, tanto più si rendono conto che quello che “sapevano” prima era sbagliato. Le leggi di Newton sono state considerate verità fondamentali della fisica finché non si è trovata la loro inapplicabilità nel dominio del microscopico e del macroscopico. La meccanica quantistica è stata sviluppata per analizzare il mondo degli atomi e la fisica della relatività del cosmo. Esse però sono risultate in forte contraddizione. Poiché entrambe devono coesistere all’origine dell’universo – quando il microscopico e il macroscopico costituivano un’unità – gli scienziati devono fronteggiare la formidabile sfida di formulare una Teoria del Tutto (TdT) capace di unificare questi inconciliabili pilastri della scienza. Rivediamo la storia dello sviluppo della TdT:
1. Un iniziale ruggito arrogante. Il fisico Leon Lederman: “Speriamo d’illustrare l’intero universo con una singola semplice formula che si possa scrivere sulla nostra maglietta.
2. Un successivo grugnito esasperato. L’astrofisico Steven Weinberg:
“Man mano che progrediamo nel comprendere che l’universo è in espansione, si espande anche il problema che abbiamo davanti cosicché sembra che la soluzione si allontani sempre più da noi.”
3. Un gemito finale camuffato. Il fisico teorico John Wheeler: “Non correte mai dietro a un autobus, a una donna o a una teoria cosmologica perché ve ne sarà sempre una successiva dopo pochi minuti.”
Tornando indietro nel passato troviamo che la corda con cui madre Yasoda cercava di legare Krsna era più corta solo di due dita, ma la corda della TdT che la scienza sta cercando di legare attorno all’universo non è solo corta, ma è anche rotta come Stephen Hawking ha ammesso: “Le teorie (sulla fisica) che abbiamo finora sono inconsistenti e incomplete.”
Madre Yasoda riuscì finalmente a legare Krsna, ma solo quando Lui, per la Sua grazia, Si lasciò legare. Anche la scienza può com- prendere l’universo, in particolare la nostra posizione e il nostro scopo al suo interno, ma soltanto quando si armonizzerà con l’Intelligenza Suprema ricercando ed applicando la scienza spirituale esposta nella Bhagavad-gita, e aprendo così la strada alla rivelazione spirituale.
Tutto ciò non è così contrario alla scienza come può sembrare. Uno scienziato della grandezza del fondatore della teoria dei quanti, il premio Nobel Max Planck, ha affermato: “Per la religione Dio è all’inizio, per la scienza è alla fine.” E la scienza ha cominciato a raggiungere questo punto finale con la sua scoperta del “fine tuning” dell’universo: una sintonizzazione estremamente precisa dei valori e delle interrelazioni di almeno ottanta parametri essenziali per la vita. Ovviamente un “fine tuning” ha bisogno di un “fine tuner”. Naturalmente gli ostinati seguaci dell’ateismo hanno proposto universi casuali e multipli, ma queste teorie sono tutte non comprovate e non comprovabili. Sono più adatte al dominio della fantascienza che a quello della scienza.
Quando gli scienziati accetteranno il verdetto che risulta evidente dalle loro ricerche, rimuoveranno l’ostacolo facendo compiere alla scienza un balzo spirituale in avanti da lungo tempo rinviato. Affinché non esitino o tentennino a compiere questo passo coraggioso, la riflessione del rinomato fisico Michael Faraday può spingerli a farlo: “Dovremmo valutare il privilegio di conoscere la verità su Dio molto più di qualsiasi altra cosa possiamo ottenere in questo mondo.”
CADERE PER FIDO
di Mathuresa dasa
Uno scivolone sul marciapiede ispira alcuni pensieri sul nostro comportamento schizoide nei confronti degli animali. Uno sguardo a una delle ‘mucche sacre’ dell’Occidente.
In fondo alla strada in cui vivo un’alta siepe fiancheggia il marciapiede per circa venti metri, e creando ombra ripara una parte del selciato. Là accadono cose straordinarie. Nelle sere più calde si possono trovare feste occasionali – un’auto carica di ragazzi e voci che superano quelle di una radio a tutto volume, mentre durante il giorno squadre di operai della compagnia elettrica, telefonica o municipale, addetti alla manutenzione delle strade, accostano lì i loro veicoli e fanno un pisolino. Ma la funzione primaria di quel tratto di strada, e la più importante da sapere se sei un pedone, è quella di discarica per gli escrementi dei cani. Specialmente sul far della sera si vedono i proprietari dei cani scendere fino a quella striscia di marciapiede, girarsi nella direzione opposta per un momento (scrutando il cielo alla ricerca delle prime stelle) e dopo aver dato uno strattone al guinzaglio tornare a casa. Direi che quest’area di venti metri serva la maggior parte dei cani entro un raggio di quattro o cinque isolati.
Il fatto di dover regolarmente guardare dove metto i piedi mi fa domandare: perché, mentre macellano altri animali a milioni ogni giorno, queste persone sono così devote ai cani al punto di stare pazientemente in piedi accanto a loro mentre queste creature fanno i loro bisogni? I cani sono fedeli, obbedienti e facilmente soddisfatti, lo so, perciò forniscono un sostituto per la meno affidabile compagnia umana. I maiali e le mucche non sono altrettanto socievoli o affabili, e anche se lo fossero, non desiderereste che vi saltassero sulle ginocchia. Inoltre, forse i cani non sono così gustosi come altri animali. Forse non ingrassano così facilmente. E anche se così fosse noi non li uccideremmo. Quando ero bambino, avevo un bracchetto di nome Geronimo che era grasso come un barile. Non ho mai macellato Geronimo. Era un membro della famiglia.
Comunque, sebbene abbiamo ragioni pratiche per scegliere i cani e farli oggetto di trattamenti speciali, la Bhagavad-gita insegna a vedere tutte le creature con occhio equanime. La Gita afferma che ogni essere vivente è un’anima eterna, parte integrante dell’Anima Suprema, Krsna. Tutti gli esseri viventi, quindi, sono membri della famiglia di Krsna. Vedere in modo equanime non significa che dovremmo stringere amicizia con le tigri o abbracciare i serpenti a sonagli, ma che non dovremmo creare problemi superflui ad alcun’anima. Anche se le mucche, i maiali e i polli non sono buoni animali da compagnia, soffrono tanto quanto i cani. E siccome siamo tutti soggetti alla legge del karma, per qualsiasi sofferenza causiamo loro dovremo a nostra volta soffrire.
Ogni volta che sono obbligato a pulirmi le scarpe a causa della mia disattenzione mentre passeggio tranquillamente sul marciapiede, m’incuriosisco sempre più pensando all’infatuazione dell’uomo verso i cani. Una mattina della scorsa settimana, dopo essere sci- volato e quasi caduto su un deposito particolarmente consistente, ho deciso di considerare più a fondo questa infatuazione. Più tardi quel giorno, mentre facevo spesa al supermercato locale, ho visitato il reparto del cibo per cani – corsia cinque, circa a metà del negozio. Il cibo per cani occupa tutti e quattro gli scaffali di un lato della corsia per quasi tutta la lunghezza della corsia stessa. (Il cibo per gatti e le lettiere per i cuccioli occupavano il rimanente spazio). Ho riconosciuto il cibo favorito di Geronimo, e ho contato circa una dozzina di altre marche di cibo sia essiccato che in scatola. Molti marchi riportavano ritratti di cani, simili in qualche modo ai ritratti dei bambini sulle scatole dei cereali un paio di corsie più in là – sia i cani che i bambini erano ritratti come vivaci giovani membri della famiglia.
I cani sono giovani membri della famiglia universale di Dio, i fratelli minori degli uomini, e quindi meritano le nostre attenzioni. Ma dodici marchi di cibo appositamente preparato? Abbracciare una tigre è sciocco, ma lo è anche spendere tanto denaro per qualcosa che va a finire sul marciapiede, o sul tappetino.
La corsia del cibo per cani è lunga quanto tutta la lunghezza del negozio, dove, contro la parete di fondo, si trova un’esposizione altrettanto lunga: carne refrigerata. Polli, tacchini, maiali, mucche e pecore. Perché non ci sono ritratti qui? Anche loro sono membri della famiglia – “bambini” del Signore Supremo e fratelli e sorelle minori degli esseri umani. Come noi, hanno testa, collo, gambe, cuore, fegato, lingua (proprio là, nel frigorifero, avvolti nella pellicola). Come a noi, anche a loro piace mangiare, dormire, accoppiarsi e prendersi cura dei piccoli. Come noi, conoscono la paura e la sofferenza. E come noi, sono anime eterne e individuali, ricoperte di carne e ossa. L’unica differenza è che hanno meno intelligenza e sono quindi inermi davanti alla nostra mannaia.
Questa non era la prima volta che riflettevo sull’inconsistente comportamento dell’uomo nei confronti degli animali, e neppure la prima volta che vedevo come un supermercato rappresenti molto bene questo comportamento. Durante questa particolare visita, però, mentre ero di fronte alla carne refrigerata, ancora contrariato per lo scivolone sul marciapiede, mi chiedevo: “Come può la gente vivere in questo modo e non dar di matto?” Nel panorama mentale di un umano carnivoro, la corsia della glorificazione del cane (e il marciapiede per la raccolta del suo escremento) s’incrocia con la corsia della macellazione di altri animali, eppure il carnivoro non ammette la contraddizione. Non è questa la negazione di fatti ovvi, della realtà? E la negazione della realtà non produce un genere di distorsione mentale? Non è proprio questo indicativo di malattia mentale?
“Ma scherzi!” dice il carnivoro. “Questi animali esistono per essere mangiati. Sono destinati a essere uccisi. Sono animali da cibo.”
“Destinati da chi?” è la risposta. “È ovvio che tu vuoi ucciderli e mangiarli, ma dov’è la prova di un’intenzione al di là della tua?
‘Destinare’ indica che c’è una persona che destina, quindi oltre a te, chi è questa persona?” I criminali incalliti si sentono ampiamente giustificati nel fare ciò che fanno: le loro vittime sono destinate a essere vittimizzate. Ma io non penso che gli animali siano destinati ad essere uccisi, e nemmeno lo pensano gli animali. Inoltre, la filosofia ‘dell’essere destinato’ non è confermata da alcuna Scrittura autentica, sebbene quando i carnivori mettono le loro mani insanguinate sulle Scritture cercano di dimostrare il contrario. La letteratura vedica dice che la carne è destinata solo ai cani e ai gatti. L’appetito dell’uomo per il cibo dei cani indica dunque che egli non solo è infatuato dei cani ma li imita. Qualsiasi cane sarebbe al settimo cielo annusando qua e là nel reparto-carne di un supermercato.
La carne refrigerata non è, purtroppo, l’ultima parola in fatto di comportamento schizoide dell’uomo nei confronti dei suoi fratelli animali. Camminando fino al termine del reparto della carne, sono arrivato a un banco-frigo che si estendeva per tutta la lunghezza della parete laterale, pieno di latte e prodotti derivati dal latte. Per i primi cinque metri circa, contenitori da un litro e mezzo litro di latte sono impilati tre in altezza e quattro in profondità, e vari tipi di creme e panne riempiono gli scaffali vicini. Contenitori di yogurt di ogni varietà, budini, dessert al latte e altre delizie riempiono la sezione vicina. Poi fanno bella mostra differenti qualità di burro e innumerevoli tipi di formaggi freschi e stagionati, e di fronte un freezer pieno di gelati.
Ora, se il cane ha un trattamento speciale perché è socievole, fedele e desideroso di difendere la casa e il padrone, perché la mucca, che fornisce gli ingredienti per questa abbondanza di cibi deliziosi, non riceve un trattamento speciale? Non che dovremmo tenere uno o due giovenche a casa e portarle a passeggio per l’isolato, o che i nostri supermercati debbano avere una corsia di fieno e avena. No. Tutto ciò che dobbiamo fare è smettere di tagliare la gola alle mucche. Se vuoi mangiare carne di mucca, o di qualsiasi altro animale, sii paziente. Tutti muoiono prima o poi.
Gli occidentali deridono il rispetto apparentemente irrazionale dato agli animali, alle mucche in particolare, dai seguaci della letteratura vedica dell’India. Il termine “mucca sacra” sta ora a indicare qualsiasi cosa considerata a torto immune da ragionevoli critiche. È vero, la letteratura vedica afferma che la mucca è sacra – nel senso che è la favorita dal Signore Supremo, Sri Krsna, e che la sua cura e protezione da parte dell’uomo porta allo sviluppo di qualità nobili ed elevate nella società umana. Mentre questa asserzione non è immune da critiche, per provare che è irrazionale dobbiamo fermare l’uccisione delle mucche e osservare di persona gli effetti di tale moratoria.
Sacralità a parte, i seguaci della letteratura vedica mettono in evidenza gli innegabili contributi della mucca – quei frigoriferi pieni di latte, panna, burro e formaggio, quei freezer pieni di gelato. Tutti noi abbiamo gustato il latte e i prodotti del latte sin dallo svezzamento. Mio figlio di due anni beve ogni giorno un quarto di litro di latte di mucca. Questa quantità dev’essere almeno tanto quanto quella che era abituato a poppare dal seno materno. Il cane può essere il nostro migliore amico, ma la mucca è la nostra seconda madre. Chi più di lei potrebbe essere considerata membro della famiglia?
I Veda ci insegnano a dare protezione non solo alla mucca ma a tutti gli esseri viventi, inclusi cani e gatti. L’ingiunzione vedica è mahimsyat sarva-bhutani: non nuocere ad alcun essere vivente. I Veda prescrivono inoltre che tutti gli esseri della comunità, inclusi gli animali come i gatti e i cani, devono essere nutriti generosamente durante tutte le cerimonie religiose. Infatti l’adorazione del Signore è completa solo quando tutti i membri della Sua famiglia sono stati adeguatamente soddisfatti.
La letteratura vedica consiglia comunque di dare una particolare attenzione alla mucca perché ci nutre e ci assiste nell’avanzamento spirituale. Ella è utile a tutti gli effetti. A parte il latte, perfino lo ster- co di mucca ha la sua utilità – come fertilizzante e nella produzione di buoni incensi, per esempio. Non si può dire altrettanto per le feci dei cani.
AL DI LÀ DELL’ECOLOGIA
di Jayadvaita Swami
Preoccuparsi dell’ambiente ci fa sentire bene. Ma sentirsi bene è sufficiente?
Trent’anni fa a nessuno importava un accidente. Avreste potuto inquinare fiumi coi liquami delle fabbriche, tagliare intere foreste pluviali, spruzzare fluorocarburi nell’aria come bambini che buttano coriandoli e nessuno avrebbe protestato.
Ora non più. Gli scolari da grandi vogliono fare gli ecologisti. I magnati dell’industria smistano i loro rifiuti per riciclarli. I cantanti rock fanno concerti per salvare praterie e paludi. Candidati politici dicono che sono preoccupati per il destino dei babbuini dalle tre dita.
Interessarsi all’ambiente ci aiuta a stare meglio con noi stessi. Al supermercato scegliamo la carta invece della plastica. Mandiamo gli auguri su biglietti di carta riciclata. Contribuiamo con qualche euro alla causa di Greenpeace. Sì, ci stiamo preoccupando del pianeta. È giusto.
Troppo spesso, però, la nostra preoccupazione per il pianeta manca di una base metafisica. Intuitivamente, vivere in armonia con la Terra sembra giusto. Se la Terra è la casa dove andremo a vivere, perché disseminare le stanze con lattine di birra o fare la pipì su tutto il tappeto?
Ma alla fin fine che importa? Se la vita è solo una serie di reazioni chimiche, che importanza ha se i composti chimici si scombinano? Le specie viventi vanno e vengono. Perché rattristarsi e piangere se qualche bipede invasato stermina qualche centinaia di migliaia di vicini? La Terra sarà pure nostra madre, ma prima o poi si disgregherà fino a diventare granelli di polvere infinitesimale. E dal punto di vista cosmico tutto ciò avverrà solo tra pochi mega- momenti. Quindi perché tanto chiasso?
Voi direte che è per i nostri figli, per le generazioni future. Ma anche loro sono lampi nell’eternità. Perché preoccuparsene?
I custodi del verde ci ricordano con urgenza che sporcare e divorare la Terra è poco lungimirante. Ma per essere veramente lungimiranti dobbiamo guardare al di là di quello che sembra pulito, piacevole ed armonioso sulla Terra, un frammento di realtà fisica che compie una breve corsa attraverso l’universo. Non dobbiamo solo chiederci come stiamo trattando la Terra, ma perché siamo sulla Terra e dove stiamo andando alla fine.
Altrimenti, seppure ecologicamente coscienti, siamo metafisicamente morti.
SCAMBI D’AMORE
di Mohini Radha devi dasi
Nelle relazioni tra il Signore e il Suo devoto, entrambi gustano la più grande felicità.
La Bhagavad-gita e altre Scritture vediche lodano Arjuna per la sua relazione d’amicizia con Dio, Krsna, la Persona Suprema. Poiché per definizione le relazioni comportano reciprocità, non solo Arjuna è conosciuto come l’amico di Krsna, ma Krsna è conosciuto come l’amico di Arjuna. Krsna diventò l’auriga di Arjuna ed è quindi chia- mato Partha-sarathi, il “conduttore del cocchio di Partha (Arjuna)”. Questo nome mostra la speciale relazione di Krsna con il Suo devoto Arjuna.
I dibattiti sul servizio devozionale mettono in evidenza le attività che i devoti compiono per il piacere di Krsna, ma la relazione trascendentale tra il Signore e i Suoi devoti è dinamica, caratterizzata da scambi d’amore che nascono da entrambe le parti. Sebbene Krsna sia ben disposto verso tutti, Egli è particolarmente favorevole verso i Suoi devoti, ai quali mostra un particolare affetto.
Nella Bhagavad-gita (9.29) Krsna dice ad Arjuna: “Non invidio e non favorisco nessuno. Sono imparziale con tutti, ma chiunque Mi offra un servizio con devozione vive in Me; egli è un amico per Me come Io sono un amico per lui.” Può sembrare contraddittorio il fatto che il Signore possa essere “imparziale con tutti” e allo stesso tempo abbia un particolare riguardo per i Suoi devoti.
Srila Prabhupada spiega questo verso dicendo che il Signore Si prende cura di tutti gli esseri fornendo tutto ciò che è necessario per mantenerli in vita. In realtà, neppure un filo d’erba si muove senza la Sua sanzione, perciò, come Controllore Supremo che mantiene tutte le creature, Krsna è imparziale con tutti.
D’altra parte Krsna distingue tra le Sue particelle in base alla relazione che hanno con Lui. Egli premia gli esseri viventi secondo il loro grado di abbandonano: “Nella misura in cui si abbandonano a Me, Io li ricompenso.” (Bg. 4.11) È naturale pertanto che Krsna mostri uno speciale interesse per i Suoi devoti che sono completamente arresi a Lui e che Lo servono costantemente con amore e devozione.
Il Signore è la Persona Suprema e anche gli esseri viventi sono persone, sebbene siano infinitesimali mentre il Signore è sempre illimitato. Questo concetto è ben rappresentato dall’analogia di un fuoco circondato dalle sue numerose e piccole scintille, che sono minuscole se paragonate al fuoco da cui originano, ma che hanno la sua stessa composizione. Come c’è una relazione tra le singole scintille e il fuoco, così esiste un’eterna e reciproca relazione tra gli esseri viventi e il Signore.
Per la persona favorevolmente disposta verso il Signore in una relazione di servizio d’amore, questa relazione è molto speciale ed è l’essenza della vita. Coscienza di Krsna significa che le azioni, le parole e i desideri sono sempre diretti verso Krsna. Quando si raggiunge questa posizione perfetta, tra Krsna e l’essere nasce una vera e propria reciprocità.
Krsna è caro ai Suoi devoti ed essi sono cari a Lui. Sebbene Dio sia perfettamente indipendente e soddisfatto in Sé, Egli accetta il ser- vizio offerto dai Suoi devoti e in questo modo rimane al centro della loro vita. Questa reciprocità, fonte di piacere per entrambi, è unica. In un’altra parte della Gita (6.30) Krsna lo conferma: “Per colui che Mi vede in ogni luogo e vede ogni cosa in Me, Io non sono mai perduto né egli è perduto per Me.”
Spiegando questa reciprocità trascendentale, Srila Prabhupada porta l’esempio di un anello con diamanti: il diamante acquista bel- lezza vicino all’oro, e l’oro appare più bello vicino al diamante. (Bg.9.29) Quando un puro devoto serve senza chiedere niente in cambio, Krsna Si sente obbligato verso di lui e “diventa suo debitore.” (Srimad- Bhagavatam 3.8.27) Krsna è la sorgente della gioia dei Suoi devoti, ed è felice di soddisfare i loro desideri perché questi desideri sono nella pura coscienza di Krsna.
Perfino i più neofiti tra i devoti del Signore possono gustare la dolcezza di reciprocare con Lui. Si dice che quando noi facciamo un passo verso Krsna, Egli ne fa cento verso di noi. Anche se nes- suno è veramente adatto a servire il Signore Supremo, Egli è così misericordioso da accettare i nostri umili tentativi. Il Signore è più desideroso di richiamare a Sé le anime condizionate di quanto esse siano desiderose di tornare a Lui, perciò le aiuta costantemente: “A coloro che Mi adorano con devozione esclusiva, meditando sulla Mia forma trascendentale, Io fornisco il necessario e preservo ciò che già possiedono.” (Bg. 9.22)
Anche se una persona non riesce a purificarsi completamente durante questa vita, potrà continuare il percorso devozionale nella prossima vita. Le conquiste spirituali, a differenza dei guadagni materiali, non vanno mai perdute.
Il modo più semplice per sentire la reciprocazione con Krsna è quella di ascoltare e cantare i Suoi nomi:
Hare Krsna, Hare Krsna, Krsna Krsna, Hare Hare,
Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare
Quando Krsna è sceso sulla Terra nella forma di Caitanya Mahaprabhu, più di 500 anni fa, Egli ha reso il puro amore per Dio disponibile a tutti mediante il canto dei Santi Nomi. Nel degradato kali-yuga, l’attuale epoca d’ipocrisia e discordia, questo è il metodo migliore per ottenere una perfetta coscienza di Krsna. Questo canto costituisce lo yuga-dharma, l’attività prescritta per quest’era.
I nomi di Krsna sono dotati di tutte le Sue potenze, ciò significa che Egli è presente nei Suoi nomi. Quando cantiamo con attenzione, Egli reciproca danzando sulla nostra lingua. Di cos’altro abbiamo bisogno?
LA TECNOLOGIA MANCANTE
di A. C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada, acarya-fondatore dell’Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna
Il Movimento per la Coscienza di Krsna insegna una scienza che non si trova nemmeno nelle aule delle migliori università del mondo. “Sono nato nelle più profonde tenebre dell’ignoranza, ma il mio maestro spirituale mi ha aperto gli occhi con la torcia della conoscenza. Offro a lui il mio rispettoso omaggio.”
Con questa preghiera offriamo il nostro rispettoso omaggio al maestro spirituale. Perché? Perché il maestro spirituale è colui che apre i nostri occhi, offuscati dall’ignoranza, con la torcia della conoscenza trascendentale. Tutti nasciamo nell’ignoranza e abbiamo bisogno di ricevere un’educazione adeguata per riuscire a vedere le cose come sono veramente.
Nella società moderna la conoscenza è divisa in vari settori. C’è un settore che insegna la scienza medica, un altro l’ingegneria, e via dicendo. Sfortunatamente nessun settore si occupa di far conoscere la scienza dell’anima. Invece questa è la cosa più importante, perché l’anima è il supporto e l’origine di tutte le nostre attività.
Nella Bhagavad-gita (3.42) c’è un verso molto bello: “I sensi attivi sono superiori alla materia inerte, ma superiore ai sensi è la mente, e superiore alla mente è l’intelligenza. Ma ancora più elevata dell’intelligenza è l’anima.” Nello stato attuale di coscienza pensiamo di essere il corpo sebbene in realtà non lo siamo. Questo è dovuto all’ignoranza. “Corpo” significa sensi. Quando parliamo facciamo vibrare la lingua, quindi le attività del corpo sono le attività dei sensi.
Se approfondiamo l’argomento scopriamo che i sensi possono agire solo quando la mente è sana. Un folle non può usare bene i sensi, perciò la tecnologia della mente è una scienza superiore. Alla base c’è la tecnologia dei sensi, poi c’è quella più elevata che riguarda la mente, nota come psicologia, che si occupa del pensare, del sentire e del volere. Gli studiosi di psicologia stanno cercando di comprendere come funzionano questi tre livelli. Al di sopra della mente e della scienza della mente, c’è la scienza dell’intelligenza, e al di sopra ancora c’è la realtà dell’anima. Abbiamo un tecnologia per i sensi del corpo, una tecnologia per i problemi psicologici, ma sfortunatamente non abbiamo tecnologia per l’intelligenza o per l’anima. Il Movimento per la Coscienza di Krsna è la tecnologia che tratta la scienza dell’anima.
IL BARCAIOLO E LO STUDENTE
Conosco una bella storia che vi piacerà. In India e specialmente in Bengala vi sono molti fiumi. Una volta uno studente di tecnologia tornava a casa in barca e chiese al barcaiolo: “Sai che cosa sono le stelle?”
“Signore, sono un semplice barcaiolo”, rispose. “Cosa posso sapere delle stelle?”
“Oh, allora hai sprecato inutilmente il venticinque per cento della tua vita”, replicò lo studente.
Poi tornò a chiedere: “Conosci questi alberi? Sei pratico di botanica?”
Il barcaiolo rispose: “Signore, sono un semplice lavoratore. Cosa posso sapere di botanica?”
“Oh, allora hai sprecato inutilmente il cinquanta per cento della tua vita”, ribatté lo studente.
Lo studente continuò a far domande al barcaiolo: “Sai questo? Sai quello?” E ogni volta il barcaiolo rispondeva: “Sono un uomo comune. Cosa posso sapere di tutte queste cose?”
All’improvviso si ammassarono in cielo nuvole nere e si scatenò una tempesta, il fiume cominciò a gonfiarsi e il barcaiolo chiese: “Mio caro signore, sai nuotare?”
“Oh no!” disse lo studente.
“Allora la tua conoscenza è sprecata al cento per cento”, rispose il barcaiolo.
Caddero nel fiume e lo studente, che non sapeva nuotare, fu portato via dai flutti.
Non c’è dubbio che l’uomo stia facendo progressi nella tecnologia, nell’economia e in molti altri settori relativi alle necessità vitali, ma la Bhagavad-gita ci indica il vero problema di questo mondo, il vero problema della nostra vita.
Se siete abbastanza intelligenti, vi renderete conto che i problemi veri sono la nascita, la vecchiaia, la malattia e la morte. Questi sono i veri problemi.
Ci siamo dimenticati delle precarie condizioni in cui ci trovavamo nel ventre materno. Dalle descrizioni vediche, che sono confermate dalla scienza medica, apprendiamo che il bambino è imprigionato in un luogo oscuro e soffre terribilmente, ma non ha modo di esprimersi. Un bambino deve rimanere in quella condizione per almeno dieci mesi (lunari). Immaginate di essere messi in questa soffocante costrizione anche solo per tre minuti – morireste immediatamente. Tutti abbiamo vissuto questa esperienza, anche se ora non ce la ricordiamo.
Anche al momento della morte c’è sofferenza. E si soffre anche per la vecchiaia. Per esempio, io sono una persona anziana e ho molti disturbi. Le condizioni anatomiche e fisiologiche stanno deterioran- dosi. Lo stomaco non digerisce più come quando ero giovane. Pertanto devo soffrire. Poi ci sono le sofferenze causate dalle malattie. Chi vuole le malattie?
LA SOLUZIONE DEI PROBLEMI
La tecnologia moderna è impotente di fronte ai veri problemi della vita materiale – la nascita, la vecchiaia, la malattia e la morte – e siccome il progresso non riesce a risolverli, vengono semplicemente messi da parte. La soluzione c’è e si trova nella Bhagavad-gita, dove Krsna, Dio, la Persona Suprema, dice: “Mio caro Arjuna, se qualcuno viene a Me non dovrà più rinascere in questo mondo materiale pieno di sofferenza.” (8.15)
Noi pensiamo di esserci creati un paradiso, ma in realtà questo è un luogo dove regna l’infelicità a causa delle tre forme di sofferenza che vi fan da padrone. In America, in Europa, in India o in qualsiasi altro paese, come pure in qualsiasi altro pianeta, ci sono tre forme di sofferenze: adhyatmika, adhibhautika e adhidaivika.
Adhyatmika sono le sofferenze relative al corpo e alla mente. A volte soffriamo di mal di testa e a volte di altri mali. Ci sono dolori per tutte le parti del corpo e per la mente. Queste sofferenze sono dette adhyatmika. Poi ci sono le sofferenze provocate dagli altri esseri viventi, che sono dette adhibhautika. Infine ci sono le sof- ferenze causate dalla natura, adhidaivika. All’improvviso si scatena un terremoto, o si verifica una carestia o qualcos’altro su cui noi non abbiamo il controllo.
Queste tre forme di sofferenza sono sempre presenti, ma sotto la presa dell’illusione pensiamo di essere felici. L’energia materiale ci illude talmente che per quanto terribili possano essere le condizioni in cui viviamo pensiamo di essere felici. Prendete un animale qualsiasi, un maiale per esempio – vive in una condizione di estrema sporcizia. Nelle vostre città forse non vi capiterà di vedere maiali, ma nei villaggi indiani i maiali scorrazzano nei luoghi sporchi mangiando escrementi. Se si potesse chiedere a un maiale: “Cosa posso fare per aiutarti a uscire da questa condizione così abominevole?” Egli rifiuterebbe il vostro aiuto. Se gli offriste una buona preparazione, come del riso dolce, non l’accetterà. Preferirà gli escrementi, perché ha un corpo impostato in modo che non gli piaccia alcun tipo di cibo gustoso. Gli piaceranno gli escrementi. Questo è l’incantesimo di maya, l’illusione.
LA DOMANDA GIUSTA
La coscienza di Krsna insegna che se siamo veramente saggi dobbiamo chiederci: “Perché sto soffrendo?”
Questo atteggiamento è detto brahma-jijnasa. Il primo aforisma del Vedanta-sutra è athato brahma-jijnasa: dovremmo porci domande sulla nostra esistenza come anima, non come corpo o come mente, perché non siamo né il corpo né la mente. Atha atah significa che è questo il momento in cui dovremmo porci domande sull’esistenza spirituale, proprio in questa forma umana dotata di una conoscenza sviluppata e di un’intelligenza superiore a quella degli animali. Questa è la vera tecnologia.
Lo Srimad-Bhagavatam (5.5.) afferma che non possiamo rag- giungere il vero scopo della vita finché non ci poniamo domande sulla nostra esistenza spirituale. Ognuno di noi è nato nell’ignoranza perché non conosciamo la nostra vera identità. In genere ci iden- tifichiamo con “il corpo” ma in realtà non siamo il corpo. Possiamo comprenderlo molto facilmente. Supponete di avere un amico che improvvisamente muore. Voi direte: “Il mio amico se n’è andato.” Eppure il vostro amico è lì disteso con tutto il corpo – mani, gambe e tutto il resto. E lì. Perché allora affermate che il vostro amico se n’è andato? Perché in realtà non l’avete mai visto. Avete visto solo il suo corpo.
Sfortunatamente noi non abbiamo né il tempo né il desiderio di capire chi siamo veramente, il motivo per cui soffriamo, che cos’è questo mondo e qual è la nostra relazione con esso, chi è Dio e qual è la nostra relazione con Lui. Queste domande sono molto importanti e c’è una tecnologia per capirle. Lo Srimad-Bhagavatam, la Bhagavad- gita, il Vedanta-sutra – abbiamo a disposizione tutta la letteratura vedica. Se ci interesseremo a questi testi, troveremo la soluzione ai problemi della vita.
Purtroppo non siamo interessati. Questa è la difficoltà. Pensiamo di essere felici, di non aver problemi, ma non è così. Tutto ciò è detto maya, “ciò che non è”. Noi pensiamo di essere felici, ma in realtà non lo siamo. E anche se siamo felici, per quanto lo saremo? Prendete per esempio gli americani, la nazione più ricca del mondo. Le vostre comodità materiali e il vostro stile di vita sono superiori a quelli di altri paesi. Ma cercate di pensare per quanto potete rimanere americani. Forse per cinquant’anni o cento al massimo.
Non sapete cosa succederà nella prossima vita perché non ci credete, non v’informate, ma in realtà una prossima vita ci sarà. Noi non ci curiamo della vita futura, e in modo irresponsabile sprechiamo la nostra preziosa forma umana come animali qualsiasi. Di solito gli animali cercano qualcosa da mangiare, vogliono dormire, vogliono difendersi e accoppiarsi. Se anche l’essere umano è completamente assorto in queste quattro richieste del corpo – mangiare, dormire, accoppiarsi e difendersi – allora, secondo la letteratura vedica, non è un essere umano. Se non riesce a capire la propria vera identità spirituale e si occupa solo di soddisfare le quattro richieste del corpo, allora è uguale agli animali inferiori, cani e gatti.
La Bhagavad-gita dà la soluzione fornendo chiare informazioni sull’anima spirituale. Non è difficile capire questa scienza.
Quando eravate bambini avevate questo corpo – non proprio questo corpo, ma un corpo più piccolo. Dov’è ora quel corpo? Se n’è andato. Voi avete un altro corpo. L’anima spirituale, che è dentro il corpo, cambia corpo di momento in momento. Questo è un fatto, un fatto accertato dalla medicina: il corpo cambia di momento in momento. L’ultimo cambiamento è chiamato morte. Dopodiché dovremo accettare un altro corpo, ma non sappiamo quale tipo di corpo. Questa tecnologia manca alla civiltà moderna.
Ci sono otto milioni e quattrocentomila differenti tipi di corpi e dopo aver lasciato quello attuale potete entrare in uno qualsiasi di questi corpi.
Dopo aver lasciato questo corpo potreste diventare un americano, un indiano o un cinese, oppure un dio sulla luna o su qualsiasi altro pianeta. Oppure potreste diventare un cane, un maiale, un serpente qualsiasi cosa. È tutto sotto il controllo della natura materiale e non sotto il vostro. Ma se v’impegnate nella coscienza di Krsna ciò avverrà sotto il vostro controllo. Com’è possibile? La Bhagavad-gita (9.25) risponde: “Chi adora gli esseri celesti nascerà tra gli esseri celesti, chi adora gli antenati raggiungerà gli antenati, chi adora i fantasmi e gli altri spiriti rinascerà tra questi esseri, e chi adora Me vivrà con Me.”
I pianeti sono innumerevoli e il più elevato si chiama Brahmaloka. Nella Bhagavad-gita (8.17) sono descritti i vantaggi che si ottengono a Brahmaloka: lassù potete vivere milioni e milioni di anni. Ma la nascita, la vecchiaia, la malattia e la morte sono sempre presenti. Invece chi raggiunge il pianeta di Krsna, Goloka Vrndavana o Vaikuntha, non deve più tornare in questa esistenza temporanea .
Questo insegnamento molto scientifico si trova nella Bhagavad- gita. Non è dogmatico. Se con la vostra coscienza di uomini e a ragion veduta lo accettate, risolverete i vostri problemi.
NON È FALSA PROPAGANDA
Il Movimento per la Coscienza di Krsna non è nuovo, anzi esiste da almeno cinquecento anni. Il Signore, Sri Caitanya, dette inizio a questo movimento nel quindicesimo secolo in India, dove si diffuse ovunque, ma ovviamente nel vostro paese è nuovo. Noi vi chiediamo gentilmente di considerare seriamente questo Movimento. Non vi chiediamo di porre fine al vostro sviluppo tecnologico. Continuate pure. C’è un bel proverbio in Bengala che afferma che una donna occupata nelle faccende domestiche trova anche il tempo di vestirsi bene. Occupatevi pure di tutte le tecnologie che volete. Non è proibito, ma nello stesso tempo cercate di capire questa tecnologia, la scienza dell’anima. L’anima esiste. Non è falsa propaganda. È un fatto. È una scienza.
Come la scienza non è falsa propaganda, così non lo è neppure la Coscienza di Krsna. Come la scienza insegna per esempio che due più due fa quattro, la Coscienza di Krsna insegna a mitigare tutte le difficoltà della vita. Il metodo è molto facile: per realizzare il proprio sé in quest’era si deve semplicemente cantare i nomi di Dio. In quest’era la nostra vita è molto breve, siamo all’oscuro delle questioni spirituali, siamo pigri e sfortunati. In queste condizioni si raccomanda alle persone di cantare semplicemente Hare Krsna.
Ora voi potete dire: “Questo ‘Krsna’ è un nome indiano, un nome indù, perché dovrei cantare ‘Krsna’?” Se avete un altro nome di Dio, potete cantare quello. Dio ha milioni e milioni di nomi, e ogni nome di Dio è valido quanto “Krsna”. Allora perché cantiamo Hare Krsna? Perché seguiamo le orme di Sri Caitanya ed Egli cantava questo santo nome.
Vi chiediamo dunque con umiltà di unirvi a noi: non vi sarà alcuna perdita e il guadagno sarà immenso. Se vi dedicate a cantare Hare Krsna, gradualmente la vostra concezione errata di questa vita svanirà, comprenderete la vostra vera identità e agirete di conseguenza.
Questa tecnologia è così bella che voi potete continuare a fare il vostro lavoro e in più cantate Hare Krsna. Supponiamo che stiate passeggiando per strada, se cantate Hare Krsna ne ricavate un grande beneficio. Perché trascurare questa opportunità? Questa è la nostra richiesta.
Questo Movimento intende risolvere i problemi della vita umana e può essere seguito con grande facilità. Chiunque può accettarlo. Non ha importanza se si è indiani, americani, europei, indù, musulmani o cristiani. Non ha importanza. È sufficiente far vibrare questo canto:
Hare Krsna, Hare Krsna, Krsna Krsna, Hare Hare,
Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare
L’INFALLIBILE GIUSTIZIA DEL KARMA
di Caitanya Carana dasa
Anche se la parola “karma” fa ormai parte del linguaggio comune, solo poche persone ne comprendono tutte le implicazioni.
“Perché proprio io! Che cosa ho fatto per meritarmi questo?” esclama la persona offesa che si sente ingiustamente colpita da un destino crudele.
Perché le avversità colpiscono le brave persone è una domanda che può presentarsi spesso alla nostra mente quando vediamo persone virtuose vittime di dolorose contrarietà. Il “problema del male” è stato per secoli il tormento di teologi e pensatori occidentali. In sintesi il problema è questo: perché nel mondo esiste il male, nonostante la presenza di un Dio onnipotente?
Le Scritture vediche danno una chiara comprensione del proble- ma del male. Spiegano che il male ci colpisce a causa delle nostre cattive azioni. Questo è detto karma, ma quando la sofferenza che ci spetta ci raggiunge, abbiamo già dimenticato gli errori del passato. Di qui lo sfogo indignato: “Perché proprio io?”
IL KARMA NON È DEL TUTTO SCONOSCIUTO
Raffaele entra in casa e vede una brutta bruciatura sulla mano destra di suo padre. Impressionato grida: “Papà, cosa ti è successo?”
Una mattina di buon’ora la signora Carla chiama il medico di famiglia. “Dottore, mi fa molto male lo stomaco.” Il dottore chiede subito: “Che cosa ha mangiato a cena ieri sera?”
Renato ha difficoltà respiratorie. Dopo averlo esaminato, il dottore chiede: “A che età hai cominciato a fumare?”
Questi semplici incidenti di tutti i giorni comportano l’accetta- zione di un’idea simile al concetto di karma. Vedendo un particolare effetto desideriamo conoscerne le cause. La legge del karma sancisce proprio questo: ad ogni azione corrisponde una reazione. La legge del karma è simile alla terza legge di Newton, ma ne differisce perché coinvolge non il livello fisico, ma concetti più sottili relativi a poteri superiori e alla giustizia cosmica. Tuttavia, come la legge di Newton non è un atto di fede ma un principio della fisica, così anche la legge del karma è un principio che fa parte di una scienza di dimensioni più elevate.
IL MISTERO DEL MONDO
Il karma è una semplice, logica e soddisfacente spiegazione delle sofferenze, ma spesso la nostra esperienza sembra non confermarla. Politici corrotti realizzano fortune senza venire puniti, criminali vivono come straricchi boss della malavita, loschi uomini d’affari guadagnano fortune in modo illecito ma vengono considerati uomini di successo dei nostri tempi. Dall’altra parte, onesti sostenitori della verità vengono messi in disparte, innocenti vengono puniti e l’uomo onesto langue nella miseria. Dov’è la giustizia?
LA REINCARNAZIONE È ALLA BASE DI UNA GIUSTIZIA PERFETTA
La reincarnazione costituisce una parte essenziale della spiegazione vedica per le apparenti contraddizioni del karma. Il primo punto da comprendere è che noi siamo eterni, la nostra esistenza non comincia con la nascita e non finisce con la morte. Nella Bhagavad-gita il Signore Supremo, Krsna, dice che come una persona lascia gli abiti vecchi e usati per indossarne di nuovi, così noi anime lasciamo i vecchi corpi inutili e ne prendiamo di nuovi al momento della morte. Questa è la reincarnazione.
Noi anime, come princìpi attivi dei corpi, siamo responsabili di tutte le nostre azioni, buone o cattive, perciò dobbiamo riceverne i frutti, o in questa vita o in una successiva. Le grandi sofferenze di una persona che appare virtuosa sono dunque il risultato di attività malvagie compiute nelle vite precedenti. Viceversa, una persona malvagia può godere ora di una temporanea prosperità grazie alle buone azioni compiute nel passato.
Un’analogia può aiutare a chiarire il funzionamento della legge del karma. Nei villaggi i cereali sono spesso conservati in alti contenitori verticali; il cereale fresco viene versato in cima e quello conservato viene preso dal basso. Un agricoltore può aver prodotto una qualità scadente di cereale, diciamo di “pessima qualità”, negli ultimi quattro anni e averlo accumulato nel suo contenitore. Quest’anno produce cereali di alta qualità, diciamo di “prima qualità”, e li pone in cima al contenitore. Rimane quindi contrariato quando dal contenitore vede uscire il cereale di pessima qualità. Quest’esempio illustra come persone apparentemente innocenti possano soffrire in questa vita. Stanno soffrendo in realtà per le conseguenze di azioni compiute nel passato.
LE BRAVE PERSONE POSSONO ESSERE COLPITE DALLE AVVERSITÀ?
Ciò che rende difficile la comprensione del funzionamento del karma è che la maggior parte delle persone hanno un karma che non è né bianco né nero, ma con sfumature di grigio. Questo destino misto comporta reazioni che spesso appaiono arbitrarie. Una domanda assilla molti, quando vedono le avversità che colpiscono le persone brave: se queste persone sono state davvero così malvagie nelle vite precedenti da meritare una dura punizione in questa vita, allora passando dalla vita precedente a quella attuale non avrebbero dovuto mantenere la loro natura inferiore? Se sono state così dedite al peccato nelle loro vite precedenti, come possono essere virtuose in questa vita?
Svariate sono le risposte. Spesso vediamo che anche persone rette a volte cedono alle tentazioni e compiono azioni condannabili. La loro natura virtuosa permette loro di tornare rapidamente sulla retta via, tuttavia il fatto che abbiano commesso una grave colpa rimane, e pertanto sono soggette a una reazione. Quella cattiva azione resta come una brutta macchia nera sul loro conto karmico, altrimenti pulito, e provocherà una grave reazione in una vita futura che invece sarebbe stata felice. Sposta questo scenario alla vita precedente e avrai la risposta alla domanda posta. La pesante sofferenza che capita a una persona brava può quindi essere dovuta a un’occasionale ma grave trasgressione nella vita precedente.
Inoltre, il comportamento di una persona nella vita presente non è determinato soltanto dalle tendenze derivanti dalle sue vite precedenti; l’educazione e l’ambiente di questa vita giocano anch’esse un ruolo significativo. Se una persona con cattive inclinazioni nasce in una buona famiglia grazie a un karma positivo, la sua buona educazione e l’ambiente possono spingerla a liberarsi dal suo bagaglio di tendenze negative. Allora in questa vita può diventare una persona di buona moralità, ma le colpe delle vite precedenti la faranno soffrire nonostante la sua attuale condotta sia corretta.
La maggior parte dei desideri e delle tendenze peccaminose si manifestano nell’adolescenza, quando la lussuria comincia a farsi sentire. Pertanto un bambino può apparire innocente, ma avere una traccia karmica molto nera derivante dalla vita precedente, perciò le conseguenti tendenze peccaminose, sebbene forti, possono rimanere
sopite in forma di seme nel suo cuore fino all’adolescenza. A causa delle colpe passate, quello che appare come un innocente bambino può addirittura subire una traumatica penalizzazione, che sembrerà assolutamente ingiustificata dal punto di vista parziale di questa vita, ma che non è immeritata se osserviamo dal punto di vista del suo totale conto karmico. (Questo naturalmente non assolve coloro che compiono abusi. Il fatto che il bambino debba soffrire non dà diritto a coloro che lo maltrattano di gestire la legge del karma con le loro mani. Anch’essi sono perseguibili per le loro azioni e dovranno soffrire pesantemente per aver maltrattato il bambino.)
I princìpi della reincarnazione ci permettono di vedere la vita da un punto di vista più ampio – non dalla prospettiva di un’unica breve vita, che è solo un lampo nel tempo, ma dal punto di vista dell’eternità. Con questa visione più ampia possiamo comprendere che ciascuno di noi, anime spirituali, è il solo responsabile del proprio karma. La comprensione di questo sistema di giustizia universale e infallibile è il fondamento di una pace durevole e di una vera felicità.
Lo scrittore W. Somerset Maugham ha detto giusto quando nel suo libro “Il filo del rasoio” scrisse: “Non vi è venuto in mente che la trasmigrazione possa costituire un’immediata spiegazione e giustificazione dell’esistenza del male del mondo? Se i mali di cui soffriamo sono il risultato di peccati commessi nelle nostre vite precedenti, possiamo tollerarli con rassegnazione sperando che le nostre vite future saranno meno soggette alla sofferenza se in questa vita ci sforziamo di essere virtuosi.”
L’IGNORANZA NON È UNA GIUSTIFICAZIONE
Negli argomenti trattati precedentemente è implicita l’idea che alcune cose sono sbagliate perché infrangono le leggi di Dio e che farle produce reazioni negative. Le persone, però, a volte chiedono: “Se io non sapevo che erano sbagliate quando le ho fatte? Perché mi trovo a dover soffrire per aver fatto cose che non sapevo che erano sbagliate?”
Nel tribunale della giustizia divina un essere umano non può proclamarsi innocente giustificandosi con l’ignoranza. Le leggi della natura sono imparziali e ineluttabili. Il fuoco brucia chiunque ci metta la mano sopra, anche se si tratta di un bambino inconsapevole.
Ascoltate questo racconto. Una volta un viaggiatore che attra- versava una foresta scorse una luce in lontananza. Quando raggiunse quel luogo vide con piacevole sorpresa un magnifico palazzo. Poiché sembrava che intorno non ci fosse nessuno, si avventurò all’interno. Si trovò in un’elegante sala con mobili, divani e altre suppellettili di lusso. Vide anche un tavolo da pranzo pieno di squisite vivande. Vedendo che non c’era nessuno, mangiò, si rilassò sul divano e se la spassò.
Non c’è bisogno di essere esperti moralisti per capire che il viaggiatore non agiva bene. Tutte quelle belle cose non erano destinate al suo piacere. Anche se il proprietario non era al momento visibile, sarebbe stato dovere del viaggiatore cercarlo e agire in base alle regole che il proprietario aveva stabilito per i visitatori. Il proprietario ha tutto il diritto di punire un trasgressore.
Anche il mondo in cui viviamo è come un palazzo: tutte le nostre necessità – aria, acqua, cibo, calore, luce, e via dicendo – ci vengono provviste. Prima di usare questi doni ogni essere dovrebbe interrogarsi sul costruttore e il proprietario del mondo – Dio – e sulle regole in base alle quali Egli desidera che gli abitanti del mondo si comportino. Agire senza questo fondamentale buon senso provoca guai. Un essere umano non può disporre di tutto ciò che ha intorno, nuocere agli altri per il proprio interesse egoistico e poi chiedere l’immunità dalla legge del karma adducendo come scusa la sua ignoranza.
La nostra ignoranza delle leggi del karma, oltretutto, non è casuale o arbitraria, ma è il risultato delle nostre attività colpevoli del passato. Forse siamo nati in un ambiente dove le opportunità o gli stimoli per conoscere Dio sono pochi o inesistenti, e pertanto ignoriamo la legge del karma. Ma potremmo aver ottenuto questa nascita perché nella nostra vita precedente avevamo avuto l’opportunità di interessarci a Dio ma l’abbiamo sprecata. A causa della nostra scelta passata di evitare Dio, ora siamo nati in una situazione dove non è facile sentir parlare di Lui.
Tuttavia, senza tener conto dei nostri atti passati, Dio non desidera che noi soffriamo a causa dell’ignoranza. Per questo motivo ci dà le Scritture, che sono come manuali di vita, e manda i Suoi devoti a diffondere la consapevolezza dei princìpi di queste Scritture. Nella Bhagavad-gita Krsna spiega che la trasmigrazione dell’anima secondo le leggi del karma è comprensibile per il saggio, che vede con la visione della conoscenza delle Scritture, ma è incomprensibile per l’illuso che rimane chiuso nella sua visione materialistica.
“Naturalmente io credo nel karma,” può dire qualcuno. “Ma non voglio trovarmi implicato in dubbiosi concetti religiosi o settari come quello di Dio. Credo che si debba essere buoni e fare del bene agli altri vivendo onestamente senza far soffrire nessuno. Non merito di essere punito.”
A questo proposito c’è un altro racconto. Una volta una banda di ladri rapinò una banca e fuggì nella foresta dove il capo si rivolse agli altri parlando con grande serietà: “Dobbiamo essere tutti onesti, veri gentiluomini. Cerchiamo quindi di non ingannarci l’uno l’altro e dividiamo questo denaro in parti uguali tra noi.” Ovviamente quest’onestà tra ladri non ha alcun valore. Noi non abbiamo creato neanche una delle cose presenti nel mondo in cui ci troviamo, neppure i corpi in cui viviamo. L’Isopanisad (mantra 1) afferma: “Il Signore possiede e controlla tutto ciò che esiste in questo universo, l’animato e l’inanimato.” Quando rifiutiamo Dio, quando affermiamo che la Sua proprietà è nostra e decidiamo di essere “buoni” tra noi, senza riconoscere la Sua presenza, in che cosa siamo migliori di quei ladri “onesti”? Agli occhi del governo universale siamo ladri e verremo puniti dall’inesorabile legge del karma.
La virtù senza Dio non ci salverà dalla legge delle reazioni karmiche. A questo proposito è importante capire la definizione di peccato. Il peccato è più che un’attività che danneggia gli altri. Dal punto di vista assoluto, Srila Prabhupada spiega: “La radice del peccato è la deliberata disobbedienza alle leggi della natura che nasce dal rifiuto di riconoscere la proprietà assoluta del Signore. (Isopanisad, mantra 1, spiegazione) Anche la virtù senza Dio è dunque occasione di peccato.
AL DI LÀ DEL KARMA
A questo punto una persona potrebbe concludere: “Va bene, imparerò tutti i comandamenti di Dio e li osserverò rigorosamente per garantirmi un futuro senza sofferenza.”
Bene, questo è più facile a dirsi che a farsi. Sono così tante le regole che è impossibile non trasgredirne qualcuna. Per esempio, Krsna non vuole che uccidiamo nessun essere vivente, ma basta camminare, guidare, masticare – vivere – per uccidere inevitabilmente germi, insetti e altre creature. E anche se riuscissimo a vivere una vita senza peccato, dovremmo comunque sopportare le inevitabili sofferenze dell’esistenza materiale: nascita e morte, vecchiaia e malattia.
Allora qual è la soluzione? Dobbiamo agire solo per Krsna sotto la guida di un maestro spirituale autentico. Questo comportamento non solo ci libera dalle reazioni karmiche, ma gradualmente risveglia il nostro innato amore per Lui. Noi siamo tutti i Suoi amati figli e quando impariamo ad amarLo diventiamo degni di vivere una vita eterna, illuminata e piena di gioia nella Sua dimora, il regno di Dio. Questo è il vero scopo della vita, non certo quello di restare comodamente nel mondo materiale nascendo e morendo ripetute volte.
Krsna conclude dunque la Bhagavad-gita (18.65-66) incoraggiandoci ad andare oltre le comuni buone azioni verso la devozione pura, e ci assicura che in questo modo non solo saremo liberi da tutte le reazioni negative, ma torneremo da Lui per vivere nella felicità.
PARLANDO DI PERSONA
di Krsna Dharma dasa
Perché tanta gente trova così difficile pensare a Dio come persona? Ogni qualvolta la stampa pubblica degli articoli sulla fede, l’idea che Dio possa essere una persona sembra agli autori quasi disgustosa. Perfino quelli che si definiscono teisti rifiutano quest’idea e pro- pongono numerose alternative. Un quotidiano di Londra pubblica regolarmente una rubrica dedicata ai differenti credo. In un recente articolo, un professore di filosofia dice che secondo la sua opinione è ora di abbandonare il “vecchio concetto di Dio tipico delle fedi occidentali... Dovremmo rivolgerci invece alla più intelligente filosofia dell’advaita-vedanta.” Un altro articolo, proveniente da un noto psichiatra, parla di Dio come “incompatibile con la realtà di crudeltà, miseria e dolore... una parola pericolosa (Dio) in ogni senso, che autorizza la persecuzione e l’assassinio.”
Questi sono solo due esempi della confusione che la rubrica esibisce regolarmente. L’unica cosa comune ai giornalisti è che fanno tutti lo stesso errore. Con una certa presunzione danno per scontato che non conoscendo nulla di Dio, è impossibile conoscerLo, o a dir poco nessun altro Lo può conoscere: “Visto che non riesco a capire come Dio possa essere una persona, Egli non lo è.”
Forse ciò accade solo perché non sono mai venuti a contatto con questo genere di conoscenza. In fin dei conti sono tante le cose che non sappiamo ma che possiamo sapere avvicinando l’insegnante giusto. Che cosa ci costa? È così difficile capire la natura di Dio? Ci sono tanti argomenti semplici ma profondi che ci aiutano a capire. Per esempio, come un orologio ha il suo fabbricante così anche l’universo, infinitamente più complicato di un orologio, deve avere una mente che lo ha prodotto. Ora, se Dio ha creato l’uomo a Sua immagine, è possibile che Dio sia un’energia priva di forma? Esiste un solo esempio di atto creativo non eseguito da una persona?
Nulla accade per caso; ogni cosa è soggetta alla legge di causa ed effetto. Perfino nella teoria delle probabilità la parola caso non può essere definita in modo corretto. Se potessi ripetere perfettamente le condizioni del lancio di un dado nel lancio successivo, otterrei lo stesso numero. Possiamo anche non conoscere le variabili ma qualcosa determina il risultato. Variabili fisse quali il dado truccato stabiliscono il risultato. Deve quindi esistere anche una causa ultima che determina tutte le altre cause, e basta solo una breve riflessione per capire che dev’essere una persona.
Riflettete: può nascere l’ordine dal disordine senza l’influenza dell’intelligenza? Gli oggetti materiali tendono a decomporsi oppure si rigenerano e crescono? Qual è la nostra esperienza? Come possiamo dire che il mondo, con le sue infinite e ordinate complessità, si sviluppa spontaneamente da un vasto calderone di “brodo primordiale” in ebollizione, oppure, sempre più inverosimilmente, dall’esplosione di un ammasso di roccia? L’universo è pieno di leggi che non è possibile infrangere. Siamo soggetti al tempo – crescere, invecchiare e morire. Ogni cosa si disintegra e riprende nuove forme. Il sole sorge e tramonta con una precisione perfetta; le stelle e i pianeti si muovono secondo un preciso disegno. Possono esserci leggi senza un legislatore? Che cosa ci dice l’esperienza?
Ai giorni nostri capita di sentire anche l’assurda teoria che noi siamo Dio. Ma posso in tutta onestà sostenere che tutto è sotto il mio controllo? Sono onnisciente, anche se non riesco a vedere al di là delle pareti della stanza in cui mi trovo? Quanti capelli ho in testa? Posso creare anche un solo atomo? È evidente che c’è qualcosa che non va in chi sostiene di essere l’Essere Supremo, in possesso di tutta la conoscenza perfetta.
Altri affermano che benché adesso siamo inconsapevoli di essere Dio, realizzeremo la nostra supremazia raggiungendo il nirvana, o qualche altra condizione simile. Ora siamo coperti dall’illusione ma quando ci saremo realizzati non lo saremo più. Che senso avrebbe la nostra supremazia se siamo coperti dall’illusione e dall’oblio? Se la forza dell’illusione, qualunque essa sia, è più grande di noi, come possiamo essere supremi? Ovviamente, se io non sono supremo qualcos’altro dovrà esserlo. Perfino i popoli più primitivi offrono rispetto alla grandezza. Adorano il cielo, le montagne, gli oceani e perfino la pioggia dalla quale dipende la vita. In ogni caso viene accettata la superiorità: esistono cose più grandi di noi. È un fatto innegabile.
La forza della natura è più grande in quanto porta inevitabilmente la trasformazione e la morte per tutti noi. Ma qual è la grandezza ultima? Vediamo un bel dipinto e ci domandiamo chi sia l’autore. Che dire allora del paesaggio? Chi lo ha dipinto? Cade la pioggia e cresce il cibo con cui ci alimentiamo: un sistema meraviglioso. E tutto questo nessuno lo avrebbe progettato? Grandi menti scientifiche lottano faticosamente e falliscono nel tentativo di emulare anche un minimo aspetto della natura, come creare una minuscola ameba.
Benché io non sia supremo, ho comunque una personalità: posso pensare, sentire, volere e desiderare. È possibile che io sia capace di fare qualcosa che Dio, il Supremo, non possa fare? Queste sono argomentazioni elementari, tuttavia la loro logica può non essere del tutto compresa, e anche se non ho elencato tutte le possibili obiezioni, una persona onesta non può non ammettere la loro ragionevolezza.
Paragonate i semplici punti logici della presentazione teista con le complesse e spesso poco intelleggibili argomentazioni a sostegno dell’ateismo. Quali sembrano più credibili? È normale speculare in continuazione e alla fine concludere che non ci sono risposte ai grandi quesiti dell’esistenza? La vera deduzione che se ne può trarre è che la nostra capacità mentale non è sufficiente per poter arrivare da sola a trovare delle risposte. Dobbiamo accettare le risposte che ci vengono dalle autorità in materia: le Scritture.
Tutte le Scritture parlano di Dio come una persona. Respingendo questa testimonianza, entriamo nel regno delle congetture personali e scopriamo che queste non hanno né un termine né un accordo. Benché l’argomento della Verità Assoluta sia la più profonda area di studio, tutti propongono la loro personale teoria in proposito. Se anziché frequentare la facoltà di giurisprudenza, avessi deciso di fare le mie leggi personali e di aprire uno studio legale, secondo voi avrei dei clienti? Tutti invece parlano di Dio senza aver studiato attentamente una sola parola su di Lui. Siamo così sciocchi da ascoltarli? Come devoti di Krsna siamo a volte accusati di aver abbandonato la nostra intelligenza per un credo fisso. Ma l’avvocato non si arrende a un sistema accettando le leggi dello Stato, studiandole e ripetendole ai suoi clienti? Noi abbiamo accettato il fatto evidente che Dio esiste e ci siamo assunti il compito di studiarLo, guidati dalle Scritture vediche e dal maestro spirituale autorizzato.
Certamente è penoso per noi, dedicati allo studio attento della scienza di Dio, vedere la gente sviata dagli assurdi presupposti di questi filosofi e speculatori part-time. Forse la stampa dovrebbe esaminare con maggior cura le credenziali degli autori di questi articoli di opinione in aree in cui essi hanno una scarsa o inesistente conoscenza. Lo devono ai loro lettori.
VEGETARIANESIMO SPIRITUALE
di Drutakarma dasa
La cucina degli Hare Krsna si ispira spesso all’antica filosofia spirituale dell’India, e in modo particolare alle imperiture Scritture vediche come la Bhagavad-gita.
Gli autori delle ricette riportate nei nostri libri di cucina, oltre a essere esperti cuochi vegetariani, praticano la forma di yoga raccomandata dalla Bhagavad-gita, il bhakti-yoga, lo yoga della devozione. Sanno bene che per raggiungere gli obiettivi finali dello yoga (o anche semplicemente per essere sani e sentirsi in forma) bisognerebbe nutrirsi in modo giusto. E hanno comunicato con suc- cesso questo tocco essenziale di conoscenza in tutto il mondo a un pubblico interessato e sempre in espansione. Questo è un messaggio che hanno imparato dal loro (e anche mio) maestro spirituale, Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada (1896-1977), che ha introdotto il bhakti-yoga nei paesi occidentali dal 1965 con il suo arrivo negli Stati Uniti. Le sue illuminate traduzioni dal sanscrito dei classici del bhakti-yoga gli hanno dato un’ottima reputazione tra gli studiosi, ma fu la sua cucina a renderlo caro ai suoi primi seguaci, nei quartieri bassi di New York.
Nel suo primo tempio, allestito in un negozietto, Srila Prabhu- pada addestrava i suoi discepoli non solo negli insegnamenti della Bhagavad-gita, ma anche nell’arte della cucina spirituale vegetariana dell’India. È inutile dire quanto queste lezioni piacessero a tutti, soprattutto la parte finale: l’assaggio. Da allora il Movimento fon- dato da Srila Prabhupada è cresciuto in modo impressionante, tanto da costituire una rete di centinaia di templi, comunità agricole, ristoranti, che insieme distribuiscono milioni di pasti vegetariani ogni anno. Ne riceve beneficio la gente più svariata, dai clienti dei raffinati ristoranti vegetariani del Movimento, ai poveri senzatetto che ricevono pasti nutrienti e gratuiti dal programma di distribuzione di cibo che gli Hare Krsna sostengono in tutto il mondo.
Come molti ormai sanno, la dieta vegetariana è alquanto salutare, ma sarebbe un errore pensare che gli effetti benefici di questa dieta siano una scoperta recente. Non che io voglia sottovalutare i moderni rapporti medici e scientifici, che mostrano con chiarezza i collegamenti tra le diete basate sul consumo di carne e svariate
malattie gravi come il cancro e le patologie cardio-circolatorie. Sono studi interessanti e importanti. Ma tanto, tanto tempo fa, la Bhagavad-gita spiegava che la carne, il pesce e le uova sono alimenti dannosi per il benessere del corpo. Secondo questo testo vedico tali alimenti sono “causa di ansia, miseria e malattia”. La Bhagavad- gita consiglia cibi virtuosi, cibi vegetariani: “I cibi cari alle persone virtuose aumentano la durata della vita, purificano l’esistenza, danno forza, salute, felicità e soddisfazione.” Sostiene inoltre che questi cibi sono “soddisfacenti e gradevoli al cuore”. Che cosa si può desiderare di più? E che dire poi di un pianeta più vivibile? La dieta vegetariana fa bene all’ambiente.
La Bhagavad-gita ci dice: “Tutti gli esseri viventi si nutrono di vegetali.” Anche chi mangia hamburger nei fast-food dipende dai vegetali per la propria nutrizione. I vegetali, infatti, sono stati trasformati in carne dalla mucca. Ma consumare vegetali in questo modo è dannoso per il nostro pianeta. Enormi foreste vengono distrutte nei paesi in via di sviluppo per far spazio all’allevamento del bestiame. Una dieta basata sulla carne è inoltre uno spreco di risorse agricole. Oggigiorno la produzione della carne deriva dai cereali e sono necessari, per esempio, sedici chili di cereali per fare un chilo di manzo.
La dieta vegetariana è una dieta compassionevole perché crea meno dolore alle altre creature. Questo messaggio umano assume sempre più significato per chi ama gli animali, ma nonostante la recente crescita d’interesse nei confronti dei diritti degli animali, l’attenzione per gli animali non è cosa nuova.
Per migliaia di anni la tradizione spirituale dell’India ha dimostrato con costanza un’attitudine di ahimsa, di non-violenza, verso tutti gli esseri viventi. È bello che tante persone celebri si siano fatte avanti in svariate occasioni, parlando o cantando, per convincere la gente a non portare pellicce, a non mangiare carni di vitello e manzo, a non comprare cosmetici sperimentati su animali e così via. Ma ci sono motivi più concreti e profondi per rispettare le creature del Signore: la visione spirituale descritta nella Bhagavad-gita.
Le mode possono cambiare ma un impegno serio, basato sulla vera conoscenza, rimane immutato in qualsiasi circostanza. Krsna dice nella Bhagavad-gita: “L’umile saggio, illuminato dalla vera conoscenza, vede con occhio equanime una persona nobile ed erudita, una mucca, un elefante, un cane o un mangiatore di cani.”(Bg. 5.18) Questa visione equanime è la chiave per rispettare tutta la vita.
Anche gli animali hanno un’anima. La vera conoscenza ci fa capire che la violenza nei confronti degli animali non è solo una questione di etica astratta. Secondo i Veda, le Scritture spirituali più antiche, chi uccide gli animali, direttamente o indirettamente (comprando la carne), dovrà subire una reazione ben precisa, qualcosa di più che semplici rimorsi di coscienza. La reazione prevista può anche non giungere immediatamente, ma prima o poi verrà, sotto forma di malattie, di incidenti o di violenze. Si raccoglie sempre ciò che si semina, e in questi casi dolori e sofferenze.
Questo ciclo ininterrotto di azioni e reazioni viene definito “ruota del karma”, e il fatto di mangiare carne è senz’altro karma negativo. Tutto ciò fa spontaneamente sorgere un quesito riguardo alle piante. I vegetariani non generano karma uccidendo i vegetali? La risposta è sì. Ovviamente in molti casi non è necessario uccidere la pianta per procurarsi la parte utile all’alimentazione: ad esempio si può prendere un pomodoro senza danneggiare la pianta in alcun modo, ma anche in questo c’è del karma. In altri casi, invece, la pianta viene uccisa. Quindi il quesito resta: che cosa si può fare per evitare il karma? Liberarsi dal karma è possibile, ma bisogna andare al di là del vegetarianesimo ordinario, fino al vegetarianesimo spirituale, e la Bhagavad-gita spiega come fare.
Il principio fondamentale nel vegetarianesimo spirituale è che ogni cosa, in questo mondo, fa parte dell’energia di Dio. Ciò significa che ogni cosa, incluso il cibo, dev’essere usata in relazione a Dio.
Quest’offerta si chiama sacrificio. Sacrificio significa fare qualcosa per qualcun altro. Per esempio, una madre fa sacrifici per i figli, fa tutto per loro, per farli felici. Un tipo di sacrificio è quello di cucinare per gli altri, c’è bisogno di tempo e di energia (preparare, pulire, far la spesa): è un atto d’amore, il contrario dell’egoismo. La Bhagavad-gita raccomanda dunque di fare il sacrificio di cucinare per il Signore, Sri Krsna: “I devoti del Signore sono liberi da ogni peccato perché mangiano solo cibo offerto in sacrificio. Gli altri, che preparano il cibo solo per il proprio piacere, in verità mangiano solo peccati.” (Bg. 3.13)
In altre parole, se si preparano pietanze vegetariane e le si offrono a Krsna, si è liberi dal karma. Dio, che è onnipotente, può trasformare l’energia materiale del karma in energia spirituale. Quando il cibo è offerto a Krsna si trasforma: non solo si libera dal karma, ma s’infonde anche di energie spirituali. La parola sanscrita che designa il cibo spiritualizzato è prasada, misericordia. Il prasada è particolarmente attraente, perché anche solo mangiando si fa avanzamento spirituale, ci si libera dal karma e si sperimenta il piacere dell’energia superiore.
KRSNA E' IL PADRE, CRISTO E' IL FIGLIO
di Suhotra Swami
Chi conosce Cristo in verità conosce Krsna, e chi conosce Krsna in verità conosce Cristo.
Che cosa significa per voi la festa di Natale? Per molti, in occidente, non significa nulla più di una festa in famiglia, dove si scambiano i regali, si beve del vino e si guarda la televisione. Per qualcuno però non è andato perduto il vero significato della festa natalizia. È il momento per ricordare e glorificare l’avvento di Gesù Cristo.
Nonostante il Natale abbia un posto importante nella vita sentimentale dei cattolici credenti, l’origine di questa ricorrenza rimane, come tante cose nel cristianesimo, in un buio enigmatico. La data esatta della nascita di Gesù Cristo non si è mai saputa. Il giorno tradizionale del 25 dicembre si riferisce in realtà alla festa pagana del solstizio d’inverno, che nell’anno 354 d.C. i cristiani romani hanno dichiarato festa per la nascita di Cristo. Altrettanto poco si sa sull’aspetto fisico di Gesù.
Considerando questi punti così oscuri, potremmo porci una domanda di fondamentale importanza: “Chi è Gesù Cristo?” Per rispondere non sarebbe assurdo affermare che ogni cristiano ha il suo Cristo personale, perché ovviamente non esiste più nel cristianesimo un Cristo uguale per tutti. Come dice in una sua lettera un nostro lettore cristiano, i cristiani di oggi non hanno più bisogno di un Cristo uguale per tutti. Ciascuna delle persone moderne e liberali che ha scoperto l’amore per Gesù, lo vede a modo suo, a seconda di come egli si è manifestato nel suo cuore. In altre parole, amare e conoscere Cristo è diventato un fatto di credo individuale, almeno questo è il pensiero che Martin Lutero ha diffuso profondamente in tutto il mondo.
Ma è sufficiente credere alle sue parole per capire l’essenza trascendentale di Cristo? Potremo veramente, come prometteva Lutero, seguendo la nostra interpretazione soggettiva e volubile del Vangelo, capire ciò che il Signore Supremo ci ha voluto comunicare attraverso Cristo?
Tra il cristianesimo ispirato agli insegnamenti di Lutero e il cristianesimo del Nuovo Testamento c’è senz’altro una insuperabile contraddizione, visto che non c’è più un Cristo uguale per tutti, uno che tutte le tendenze cristiane possano accettare, non esiste più neanche una formula comune per esprimere l’amore per Cristo.
Il Nuovo Testamento esprime però con chiarezza cosa significa amare veramente Cristo: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti.” (Giov. 14.15) “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel Suo amore.” (Giov. 15.10)
A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada poneva sempre la seguente domanda, riguardo ai moderni cristiani: “Dov’è il vostro amore per Dio?” Molti cristiani sostengono di non vedere la necessità di avere un Cristo uguale per tutti, perché tutti i cristiani amano Cristo in un modo individuale. Ma quanti di coloro che amano Cristo ubbidiscono ai suoi comandamenti? Quanti di loro hanno smesso di “uccidere” nel senso più vasto del termine, come indicato nel quinto comandamento? Quanti hanno smesso di desiderare le donne, anche con la mente, come comandava Gesù (Matteo 5.28)? Come la mettiamo col divorzio, che Cristo ha proibito, se non nel caso di prostituzione, come viene descritto da Matteo (19.9)? E chi dei cristiani di oggi si prodiga per diventare un “eunuco di Dio” come raccomanda Gesù a Matteo (19.12)? Tutte queste severe regole degli albori del cristianesimo sono state eliminate da tanto tempo con una retorica sdolcinata da parte di teologi liberali. Come disse Gesù stesso dei religiosi del suo tempo: “Così anche voi, all’esterno apparite giusti davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità.” (Matteo 23.28)
Tutti i comandamenti che leggiamo nei Vangeli sono soltanto una conseguenza logica del comandamento che Gesù indica come il suo comandamento più importante: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti.” (Matteo 22.37-38) I cristiani moderni non osservano neanche i comandamenti minori, come possono sostenere di osservare il comandamento più grande?
Per poter amare Dio, bisogna conoscerLo, ma oggi difficilmente i cristiani possono affermare di conoscere il figlio di Dio, Gesù Cristo, per non parlare di suo Padre. Per amare Dio e conoscerLo bisogna essere, come Gesù, un puro figlio di Dio: “Non che alcuno abbia visto il Padre se non colui che viene da Dio ha visto il Padre.” (Giov. 6.46)
Basandoci sulle indicazioni del Nuovo Testamento possiamo erigere una formula semplice per scoprire chi è un vero cristiano. Colui che ama e conosce Gesù osservando i suoi comandamenti viene innalzato attraverso la sua misericordia alla posizione di poter conoscere e amare Dio.
Tutti i cristiani dicono che soltanto Gesù può essere considerato il vero figlio di Dio, perché “la gloria di Dio è irraggiungibile per l’umanità” sostengono. Nonostante la sua elevata posizione, Gesù ha dato ai suoi discepoli l’istruzione di diventare uguali a lui attraverso l’osservanza dei suoi comandamenti. Chi si atterrà a queste regole diventerà un puro figlio di Dio: “A quanti però lo hanno accolto e hanno creduto nel suo nome ha dato il potere di diventare figli di Dio.” (Giov. 1.12)
Santo Stefano, per esempio, era un cristiano, e i suoi ultimi momenti di vita vengono così descritti: “Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla Sua destra.” (Atti 7.55) Gli occhi di Stefano sono stati aperti dall’amore devozionale verso il suo maestro spirituale, Gesù Cristo, in modo che potesse vedere la realtà trascendentale, eterna, al di là delle forme illusorie e temporanee di questo mondo materiale.
Molto rilevante è a questo proposito la realizzazione personale di Stefano circa la relazione tra il Signore Supremo e Suo figlio, Gesù Cristo. Chi è questo Dio, il Padre di Cristo, che Santo Stefano ha realizzato? Nell’Antico Testamento il Signore era apparso soltanto davanti agli anziani e ai profeti d’Israele per esempio come cespuglio in fiamme, come colomba, come colonna di fuoco di notte, come nuvola di giorno e via dicendo. Ma la Sua forma personale trascendentale è sempre rimasta nascosta ai loro sguardi: “Voi non avete mai udito la Sua voce, né avete mai visto il Suo volto.” (Giov.5.37) Ciononostante ci sono nelle Scritture ebraico-cristiane alcuni accenni alla sublime dolcezza e bellezza della forma spirituale del Signore.
Secondo alcuni mistici medioevali, come per esempio Giovanni della Croce, lo scambio tra l’amante e l’amata, come viene descritto nel Cantico dei Cantici, non è una poesia d’amore, ma un cenno all’intima relazione amorosa trascendentale tra l’anima realizzata e la Persona Suprema. Nel quinto capitolo di questo libro il poeta invoca così l’amore del Signore: “Il Suo capo è oro puro, i Suoi riccioli sono come grappoli di palma, neri come il corvo. I Suoi occhi sono come colombe su ruscelli d’acqua, i Suoi denti bagnati nel latte e incastonti. Le Sue gote sono come aiuole di balsamo, aiuole di erbe profumate. Le Sue labbra sono gigli e stillano fluida mirra. Le Sue mani sono anelli d’oro, incastonati di gemme di Tarsis. Il Suo petto è avorio tempestato di zaffiri. Le Sue gambe sono colonne di alabastro posate su basi d’oro puro. Il Suo aspetto è come il Libano, superbo come i cedri. Dolcezza è il Suo palato, Egli è tutto una delizia.” (Cantico dei Cantici 5.11-16)
Gesù doveva in primo luogo insegnare le regole più importanti per una vita semplice e morale. I cristiani moderni, che non os- servano né i comandamenti di Cristo, né possono dare una risposta chiara alla domanda: “Chi è Dio, il Padre?”, ci rimproverano spesso, quando spieghiamo che il Dio della loro tradizione è lo stesso che glorifichiamo noi. “Cristo non ha mai parlato di Krsna”, rispondono indignati. Il nome “Krsna” è introvabile sia nell’Antico Testamento che nel Nuovo Testamento. Non vedono tuttavia il bosco pieno di alberi, perché il nome “Krsna” è già contenuto nel nome di “Cristos”.
La lingua greca, lingua originale del Nuovo Testamento, dalla quale abbiamo adottato il nome di Cristo, è strettamente imparentata con il sanscrito, madre di tutte le lingue indoeuropee.
Inoltre circa trecento anni prima che Gesù camminasse su questa Terra, Alessandro il Grande, conquistò il nord-ovest dell’India. Di conseguenza i Greci erano già a conoscenza dell’avatara Krsna, il Signore nato a Vrndavana da una famiglia di semplici mandriani. Non bisogna meravigliarsi dunque se la parola greca equivalente ad avatara “Messia” sia Cristos. Nella stessa parola, che indica la divinità di Gesù Cristo come il figlio di Dio, è incluso anche il nome del Padre: Krsna.
Non si trova Krsna nelle Scritture cristiane? La prossima volta che Krsna scenderà su questa Terra sarà alla fine del kali-yuga, un’era molto degenerata. Il Signore apparirà come Kalki-avatara.
Secondo lo Srimad-Bhagavatam, la Scrittura sacra antica di oltre cinquemila anni, che descrive le manifestazioni del Signore Supremo, l’era del kali-yuga è già iniziata e peggiorerà sempre di più, finché dopo molte migliaia di anni gli esseri umani saranno quasi completamente atei con un grado di civiltà animalesca. In quel periodo Dio, la Persona Suprema, in veste di Kalki-avatara, con una corona sul capo, impugnando una spada e cavalcando un cavallo bianco, punirà i furfanti. Con occhi rossi per l’ira annienterà tutti gli esseri umani, a parte i Suoi devoti, che prenderanno in consegna la Terra e inizieranno l’era successiva, il satya-yuga, l’era della verità.
Incoraggiamo i nostri lettori cristiani scettici a leggere il capitolo dell’Apocalisse di San Giovanni, dove possiamo trovare la descrizione della fine dell’era dei grandi peccati sulla Terra. Egli appare e “il Suo nome è il Verbo”. Cavalca un cavallo bianco e “i Suoi occhi sono come fiamma ardente, sul capo splendidi diademi”. “Dalla Sua bocca esce una spada affilata per colpire con essa la gente... è Lui che pigerà il tino dell’ira furente di Dio, l’Onnipotente.”
Ci si può senz’altro chiedere come mai le informazioni su Krsna sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento siano così vaghe e celate. La colpa è dei destinatari di queste Scritture, che appartenevano alla classe degli yavana (barbari carnivori), che non erano né molto intelligenti né molto credenti. Gesù doveva innanzitutto insegnare loro le regole basilari di una vita semplice e morale. Doveva perfino mettere in mostra i suoi poteri mistici per poter avvicinare gli ascoltatori duri di comprendonio e portar loro il suo messaggio. Ecco perché diceva: “Se non vedete segni e prodigi voi proprio non credete.” (Giov. 4.48) Oppure: “Per questo parlo loro in parabole, perché vedendo non vedono, udendo non odono né comprendono.” (Matteo 13.13) Oppure: “Ancora molte cose ho da dirvi, ma non le potete portare per ora.” (Giov. 16. 12)
Osserviamo adesso i caratteri dei suoi apostoli ai quali rivela- va più che agli altri: per esempio Giuda Iscariota lo tradì, Pietro lo rinnegò tre volte dopo la sua condanna, e non si trovò nessuno che prendesse la sua difesa. Tommaso non poté credere che egli fosse risorto. Non ci si meraviglia che Gesù li avesse biasimati: “O gene- razione incredula e perversa, fino a quando dovrò restare con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?” (Matteo 17.17)
Nonostante la Bibbia non descriva molto chiaramente l’Essere Supremo e Assoluto, indica senza equivoco il metodo per avvicinarLo: “...e chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato” (Lettera ai Romani, la 13); “Salvami per il Tuo nome, o Dio” (Salmi,54.3); “Innalza a Dio voci di giubilo, o Terra tutta quanta. Cantate alla gloria del Suo nome, date a Lui splendida lode” (Salmi 66.2).
Quali nomi di Dio dobbiamo cantare? Ha Dio un solo nome? Naturalmente no. Solamente nella Bibbia troviamo molti nomi sacri come Geova, Adonai, Elohim ed Eli. La lista non si ferma qui, perché Dio viene glorificato in tutto il mondo con tanti altri nomi, come viene confermato nel salmo 48.11: “Come il Tuo nome, o Dio, così la Tua lode giunge agli ultimi confini del mondo.”
Sri Caitanya Mahaprabhu, la manifestazione di Krsna che cinquecento anni fa è apparsa in India per insegnare a tutta l’umanità la religione universale del canto del Santo Nome, diceva in una preghiera: “O mio Signore, il Tuo Santo Nome soltanto può concedere agli esseri viventi tutte le benedizioni, perciò Tu hai centinaia, migliaia di nomi, come Krsna e Govinda. Tu hai dotato questi nomi sublimi di tutte le Tue trascendentali energie e non esiste alcuna rigida regola per cantarli.”
Dopodiché Egli assunse il ruolo di un’anima condizionata per venire in aiuto a tutti i miscredenti che oggi si trovano in tutte le religioni (siano essi cristiani, induisti, buddisti o musulmani) e con umiltà disse: “O mio Signore, nella Tua infinita generosità ci dai la possibilità di avvicinarTi semplicemente attraverso i Tuoi Santi Nomi, ma Io sono così sfortunato che non ne sono attratto.”
L’indifferenza verso la misericordia del Signore nella Sua forma del Santo Nome viene spesso manifestata chiaramente da parte di molti sedicenti cristiani che solo per l’appartenenza formale a una certa Chiesa si dichiarano “salvati”. Riempiono le loro giornate di cose mondane e senza senso, e dedicano solo una o due ore della domenica a Dio, per poi condannare i “non-cristiani” che si prodigano ventiquattro ore al giorno per meditare sul Santo Nome di Krsna.
Noi non vogliamo prescrivere loro dei doveri religiosi al di fuori della loro tradizione, è sufficiente che seguano l’esempio dato dai loro maestri: “Benedirò il Signore in ogni tempo ed avrò sempre la Sua lode sulla mia bocca.” (Salmi, 34.2)
Non è nel nostro intento criticare gli altri per motivi settari. Vorremmo soltanto ricordare ai nostri fratelli cristiani che il vero traguardo della religione non consiste nel sedersi comodamente in questo mondo pieno di sofferenza, di nascite e morti, ma di risvegliare nel nostro cuore l’amore per Dio in modo da poter assaporare in ogni momento la Sua compagnia, in questo mondo e nel prossimo.
Il Signore Si è reso facilmente avvicinabile attraverso il canto dei Suoi Santi Nomi, e noi preghiamo umilmente coloro che hanno difficoltà nel glorificare il Signore cantando i Suoi Nomi e a rimanere in questo modo regolarmente in contatto con Lui di stare un po’ in nostra compagnia per imparare il canto del mantra:
Hare Krsna, Hare Krsna, Krsna Krsna, Hare Hare,
Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare
Col canto regolare di questo maha-mantra (il grande canto della liberazione) si adempiono tutti i doveri religiosi di tutte le Scritture del mondo, ci s’immerge nello splendore di Dio, e la mente e i sensi sono soddisfatti senza difficoltà. In questo modo non si è più disturbati da desideri lussuriosi, condannati sia da Gesù Cristo sia da molti altri maestri santi dell’Est e dell’Ovest.
Srila Rupa Gosvami, uno dei discepoli più intimi di Sri Caitanya, scriveva: “Non so quanto nettare abbiano prodotto le due sillabe Krs-na. Quando cantiamo il Santo Nome del Signore sembra che il Signore danzi sulla bocca e noi desideriamo avere molte, moltissime bocche. Quando quel Nome entra nell’orecchio, desideriamo avere milioni di orecchi. E quando il Santo Nome danza nel cortile del cuore, la mente è finalmente calma e i sensi tranquilli. (Caitanya-caritamrta, Antya-lila 1.99)
Quando i nostri cuori si saranno completamente purificati tramite il canto dei Santi Nomi, i nostri occhi si schiuderanno e il regno nascosto del Signore e le Sue attività saranno visibili. Quando il devoto ha assaporato la nettarea compagnia del Signore perde qualsiasi interesse per i resti, più volte masticati, dei futili piaceri materiali, come il sesso, la droga, il consumo di carne, gli intossicanti, la musica mondana, ecc.
Srila Narottama dasa Thakura ha scritto a proposito dell’esperienza trascendentale e profonda che è accessibile attraverso i Santi Nomi di Krsna: “L’incantevole luogo di Vrndavana è un regno trascendentale, situato nel mondo spirituale, e consiste unicamente di pietra filosofale. Ci sono splendidi templi di pietre preziose e i cigni raja-hamsa giocano nelle acque della Yamuna che attraversa quel paesaggio sublime. In questo fiume sacro c’è un bellissimo fiore di loto con cento petali d’oro.”
“Al centro di questo fiore si erge una piattaforma preziosa circondata da otto petali sui quali si trovano le otto assistenti più importanti, a partire da Lalita e Visakha. Al centro di questo gioiello svetta un trono d’oro sul quale è seduta la Coppia Divina. La stupenda Radhika è accanto a Sri Krsna. La bellezza e la grazia delle forme di Sri Sri Radha-Govinda, intenti a conversare con dolci sorrisi, diffondono fiumi di nettare.”
Narottama dasa dice: “Possano questi giochi eterni, colmi di felicità trascendentale, rimanere per sempre racchiusi nel mio cuore.”
COSA C’E' DI SBAGLIATO NEL SESSO?
di Caitanya Carana dasa
La vera libertà non è essere liberi per fare sesso, ma liberarsi dal sesso.
Quando ogni giorno i media colpiscono i nostri occhi con immagini di corpi seminudi, i legislatori si oppongono con leggi che proibiscono l’oscenità, e i media accusano il governo di voler controllare la mo- ralità personale.
“Chi siete voi per limitare il nostro piacere sessuale?” protestano i libertini. “Che cosa c’è di sbagliato nel sesso?”
“La sessualità incontrollata,” dicono i conservatori, “degrada la società.”
Tutti hanno a cuore il diritto di godersi la vita e i libertini, per difendersi, fanno appello a questo diritto. Ma non potrebbero in questo modo far fallire lo scopo che dichiarano di voler proteggere? È possibile che le restrizioni morali sull’attività sessuale siano un sostegno anziché un impedimento al nostro diritto di godere la vita?
Questa in realtà è l’audace e disarmante affermazione delle Scritture vediche: possiamo godere meglio la vita riscoprendo la nostra natura spirituale, e questa riscoperta richiede il controllo dell’attività sessuale. Esaminiamo il punto di vista vedico sul rap- porto tra sessualità, spiritualità e ricerca della felicità.
LA VISIONE VEDICA
Un veggente vedico ci direbbe che le radici dell’attuale confusione morale si trovano nell’ignoranza spirituale. Oggi alle persone de- dite ai piaceri materiali viene lasciata la scelta dei propri obiettivi. Ignorando la realtà spirituale, l’uomo moderno non ha le basi su cui costruire una moralità oggettiva. I venti tempestosi dei cambiamenti sociali scuotono e sconvolgono quelle regole morali che non hanno radici nella conoscenza spirituale.
Prima d’immergerci in una frenetica lotta per il piacere, i testi vedici ci invitano a prenderci il tempo per chiederci: “Chi è questo ‘io’ a cui cerchiamo di dare piacere?” Davanti a questo fondamenta- le problema d’identità, oggi la maggior parte delle persone può solo sbattere le ciglia per lo stupore.
Completamente all’opposto, i testi vedici affermano con chiarezza e sicurezza che non siamo prodotti della materia; siamo anime, esseri spirituali prigionieri di corpi materiali. La nostra vera casa è il mondo spirituale, dove siamo eternamente gioiosi in una personale relazione d’amore con il supremo essere spirituale, Krsna.
Facendo cattivo uso del nostro libero arbitrio, ci rifiutiamo di amare e servire Krsna e veniamo posti in un mondo di materia, dove abitiamo in una serie di corpi materiali che accettiamo come il nostro sé. Solo in questo stato di amnesia spirituale possiamo perseguire la nostra ricerca della felicità materiale.
Quando attraversa un vetro rosso, un raggio di luce bianca ne esce rosso. Allo stesso modo, quando il puro e disinteressato
desiderio d’amore dell’anima per Krsna attraversa la copertura del corpo materiale, ne emerge come un degradato e ardente desiderio egoistico per i corpi del sesso opposto. Sotto la magìa dell’illusione creata dall’accettazione del corpo come il sé, il nostro amore per Dio si deforma in desiderio lussurioso per la materia.
La lussuria fa nascere in tutti gli esseri viventi un irresistibile impulso per il piacere sessuale e per le altre forme di piacere materiale. Lo Srimad-Bhagavatam (7.9.45) descrive la natura del piacere sessuale: “Il piacere che deriva dal sesso è insignificante come il sollievo che si ottiene quando ci grattiamo per il prurito. II piacere sessuale non porta alla vera soddisfazione ma a molteplici sofferenze. Come una persona saggia tollera lo stimolo a grattarsi per un prurito, così dovremmo imparare a tollerare lo stimolo all’appagamento sessuale.”
Sulla base di questo verso, possiamo notare tre caratteristiche inevitabili del piacere sessuale: è temporaneo, illusorio e fonte di sofferenza. Vediamo come.
Temporaneo: sebbene i media propagandino una felicità erotica senza limiti, il piacere sessuale è di una brevità sconvolgente. Come la capacità di una spugna di dare acqua, la capacità del corpo di provare piacere è limitata. All’inizio, quando la spugna è piena d’acqua, basta una piccola pressione perché l’acqua sgorghi fuori, ma quando la spugna è stata spremuta più volte, è difficile farne uscire anche poche gocce. Alla fine tutto ciò che resta è lo sforzo di spremere. Si- milmente, l’atto sessuale comporta uno sforzo crescente e un piacere che diminuisce e alla fine si conclude con un completo esaurimento.
L’analogia della spugna si applica non solo all’atto sessuale, ma anche alla capacità sessuale di un’intera vita. Nella giovinezza il corpo offre il piacere sessuale con facilità, ma quando il corpo invecchia, il sesso richiede uno sforzo crescente e produce un piacere che diminuisce. Alla fine, con l’impotenza della vecchiaia il piacere si annulla. Poiché il piacere sessuale è temporaneo, il Bhagavatam lo definisce insignificante.
Illusorio: come un’automobile e il suo autista, il corpo e l’anima hanno necessità distinte. Mettere carburante nella macchina non può alimentare l’autista, così la gratificazione materiale non porta mai alla soddisfazione spirituale. Allora perché sembra che il sesso dia tanto piacere? L’analogia del Bhagavatam di grattarsi per un prurito ci dà la risposta. Grattarsi per il prurito sembra dar piacere, ma in realtà dà solo un sollievo temporaneo. Nello stesso modo, il cosiddetto piacere sessuale non è altro che un sollievo temporaneo dall’agitazione sessuale.
Causa di sofferenza: come grattarsi peggiora e prolunga il prurito, così il piacere sessuale aumenta e prolunga la nostra sofferenza nell’esistenza materiale. Il sesso perpetua la nostra errata identificazione con il corpo, obbligandoci in questo modo a subire le inevitabili sofferenze fisiche, sociali e ambientali dell’esistenza materiale. Inoltre, più pensiamo di essere il corpo più soffriamo quando il nostro corpo è colpito dalla natura con il doloroso viaggio attraverso la malattia, la vecchiaia avanzata e la morte.
Il sesso, specialmente quello illecito, porta a complicazioni co- me l’aborto, le ragazze madri, le rotture matrimoniali e le violenze sessuali. Il sesso illecito ci espone inoltre al pericolo di malattie trasmesse per via sessuale quali l’AIDS, che minaccia di eliminare una parte rilevante della popolazione umana.
Questo non è tutto, perché la mancanza di soddisfazione spi- rituale perseguita tutte le anime del mondo materiale provocando un’insoddisfazione cronica. La falsa convinzione che questa in- soddisfazione derivi da un’insufficiente gratificazione dei sensi è il veleno dell’anima e la causa del suo inutile sforzo per la felicità.
LA SCIENZA DEL SESSO
Attraverso questo sbocco filosofico vediamo in che modo la cultura vedica salva l’anima. L’ordine sociale vedico aiuta ogni anima situata in un corpo umano a ritornare al suo primitivo stato originale. A questo scopo l’educazione vedica, oltre a insegnare abilità commerciali, tecniche e fisiche, è finalizzata a trasmettere una profonda comprensione filosofica della nostra intima identità spirituale. Questa educazione protegge gli studenti dal diventare vittime di passioni sessuali che incatenano e rendono ciechi.
Il sesso è un impulso fisico fondamentale che sfocia naturalmente nella procreazione. La scienza vedica, che è molto più sottile e sofisticata dell’odierna scienza basata sulla materia, indica che la co- scienza dell’uomo e della donna al momento dell’unione determina il tipo di anima che entra nel grembo della madre per mezzo del seme del padre.
Con questa conoscenza una coppia compie l’atto sessuale come un servizio sacro per la famiglia, la società e Dio. Marito e moglie accettano la pesante responsabilità di portare sulla Terra un’anima che crescerà per diventare una persona esemplare, disinteressata e dotata di sani princìpi, che potrà portare un immenso beneficio al mondo. Questa unione santificata è un’espressione del divino.
Nella Bhagavad-gita (7.11) Krsna dice: “Sono l’unione sessuale che non è contraria ai princìpi della religione.” Oggi tutto questo può apparire impraticabile, perfino innaturale, perché siamo soggetti ad un attacco dei media saturo di sessualità velata o evidente.
Il fine naturale del sesso è la procreazione. Con la contraccezione e l’aborto gli esseri umani separano in modo innaturale l’accoppiamento dalla procreazione. La loro mente è piena di sogni e progetti di quel piacere sessuale da cui derivano i problemi già presentati, che sono la conseguenza della licenziosità sessuale. I testi vedici ci ricordano dunque che la vera libertà non significa essere liberi per fare sesso bensì essere liberi dal sesso.
Consapevoli delle complicazioni e delle sofferenze che derivano dalla pratica sessuale, alcune persone si dedicano al celibato per tutta la vita. Tuttavia, la maggior parte delle persone non vuole o non è in grado di scegliere questo percorso, perciò le Scritture vediche indicano nel matrimonio la via per regolare l’impulso sessuale in modo religioso.
PROTETTI DAL MATRIMONIO
Quando le coppie dotate di conoscenza filosofica si sposano si rendono subito conto, grazie alle discipline spirituali che seguono, della futilità del piacere fisico. Allora basano il loro rapporto sulla reciproca assistenza nel viaggio di ritorno a Krsna.
Srila Prabhupada scrive: “Il matrimonio è fatto per regolare la mente umana, affinché diventi serena e permetta così di farci avanzare spiritualmente.” Nella cultura vedica lo scopo principale del matrimonio non è dunque il piacere fisico, ma la purificazione spirituale, perciò anche nel matrimonio il sesso viene limitato.
Le regole per l’attività sessuale non hanno lo scopo di privare le persone del piacere e obbligarle a vivere una tormentata vita di abnegazione. Costituiscono invece un trampolino che aiuta a catapultare l’anima sulla piattaforma trascendentale affinché ottenga una felicità spirituale senza limiti, che è un diritto costituzionale dell’anima.
Secondo i Veda, il piacere sessuale inchioda la coscienza dell’ani- ma al corpo e, mentre ci offre solo una goccia di piacere, ci priva dell’oceanica felicità spirituale che ci spetta. L’assenza di restrizioni, la non-restrizione, priva dunque l’anima della felicità.
La continenza è un valore universale raccomandato non solo dalle Scritture vediche, ma anche dai testi di tutte le grandi religioni. È un prerequisito che ci protegge dal coinvolgimento materiale e ci aiuta a creare la base per elevare la nostra coscienza sul piano spirituale.
LA STORIA DELLA DEGRADAZIONE
Lo scopo della cultura vedica, come di altre culture religiose tradizionali, è quello di risvegliare il nostro amore per Dio, ora dormiente, e ottenere così una felicità eterna.
Nel corso dei secoli, con il graduale declino della spiritualità, questo scopo è stato oscurato e dimenticato. Una volta le persone, per rispetto della tradizione sociale e religiosa, seguivano regole di auto-controllo, ma col diffondersi della scienza occidentale e del suo riduzionismo, le persone hanno cominciato a considerare inutili queste regole.
Forti della loro superiorità sociale e fisica, gli uomini hanno cominciato a sfruttare le donne come macchine del sesso. Offese dallo sciovinismo degli uomini, le donne hanno ricambiato usando il loro fascino femminile per sedurre gli uomini e usarli come macchine da cui estrarre denaro.
I divorzi e le relazioni sessuali prematrimoniali ed extraconiugali sono diventati sempre più normali tutto per la ricerca del piacere. Incursioni occasionali nella promiscuità sono degenerate in un’avventata ricerca di relazioni il cui unico scopo è il piacere. Si è diffusa ogni sorta di perversione sessuale.
Coperto da tutta questa frenetica ricerca del piacere c’è lo struggente desiderio di riavere la nostra relazione originale con Krsna. Il sesso è la principale distrazione che devia la nostra ricerca di felicità dal piano spirituale a quello dei corpi. Quanto più cerchiamo la felicità nel sesso, in qualsiasi forma, tanto più ci priviamo della vera felicità, mentre strati di oblio sempre più spessi avvolgono l’anima spirituale.
LA NOSTRA SCELTA
Una speranza, però, c’è. Se i dilemmi sulla moralità sessuale riescono a spingere le persone intelligenti a esaminare le basi spirituali dei loro princìpi morali tradizionali, esse possono scoprire la ricchezza perduta del loro cuore, il loro dimenticato Signore, Sri Krsna.
Krsna ci aspetta sempre. Suonando il flauto ci invita a tornare alla gioia sublime di un amore senza fine nella Sua dimora eterna la nostra casa originale, il mondo spirituale. Nella buia epoca in cui viviamo Egli ci ha aiutato a ridirigere verso di Lui le nostre coscienze deviate rivelando Se stesso nei Suoi Santi Nomi, in particolare nel maha-mantra Hare Krsna. Quando i nostri cuori sono riuniti a Krsna attraverso il sublime mezzo del suono divino, ogni piacere materiale diventa disprezzabile.
Gli insegnamenti vedici possono aiutarci a realizzare la degradazione sociale mettendoci in grado di confrontarci con essa e di contrastarla. Permetteremo all’attuale ondata di degradazione di farci sprofondare nell’oceano del peccato e della sofferenza? O ci uniremo a un equipaggio di coraggiosi marinai spirituali che dirigono il robusto vascello della sincera spiritualità verso le sicure spiagge dell’immortalità e della felicità? La scelta è nostra.
TRE TIPI DI YOGA, TRE RISULTATI
di A. C. Bhaktivedanta Swami, acarya-fondatore dell’Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna
Dei tre principali tipi di yoga presentati nella Gita, solo uno può dare la conoscenza completa.
“Dio, la Persona Suprema, disse: O figlio di Prtha, ascolta ora in che modo praticando lo yoga nella piena coscienza di Me, con la mente fissa in Me, potrai conoscerMi completamente, libero da ogni dubbio.” (Bhagavad-gita 7.1)
Questo è un verso della Bhagavad-gita. Penso che la maggior parte di voi conosca questo libro. La Gita è tradotta in molte lingue ed è conosciuta anche come Il canto di Dio. In altre parole è Dio stesso che parla.
Non è possibile comprendere Dio con la speculazione menta- le. In questo mondo materiale non riusciamo neppure a sapere che cosa c’è sugli altri sistemi planetari. La nostra conoscenza è molto, molto limitata. Inoltre siamo soggetti a quattro tipi di difetti. Il primo è che commettiamo errori. Chiunque in questo mondo può commettere errori. Il secondo è che siamo soggetti all’illusione. Illudersi significa accettare come reale qualcosa che non lo è. Per esempio, se si accetta il corpo come il sé, questa è un’illusione. Secondo il punto di vista vedico, pensare che il corpo sia il vero sé è proprio degli animali. Un cane pensa di essere il corpo, e se un uomo pensa di essere il corpo – cioè di essere americano, indiano, francese, tedesco, indù o musulmano – secondo il punto di vista vedico è in una grande illusione.
Il terzo difetto è la tendenza a ingannare. Ingannare significa assumere il ruolo di maestro senza avere una conoscenza perfetta. Il quarto difetto è che i nostri sensi sono imperfetti.
I nostri sensi non sono indipendenti, tuttavia ne andiamo molto orgogliosi. Per esempio l’ateo chiede: “Puoi farmi vedere Dio?” Non tiene conto del fatto che non ha questa capacità di vedere. Possiamo vedere solo quando si verificano certe condizioni. Se qualcuno spegne la luce non potremo più vederci l’un l’altro. Che valore hanno allora questi occhi? In breve, i sensi, come la vista, l’udito, l’olfatto, funzionano solo a certe condizioni. La vita dei materialisti è dunque una vita condizionata. Con questi sensi così imperfetti non possiamo comprendere Dio.
Il senso più utile per comprendere Dio è l’udito. Per esempio, quando un uomo dorme e un nemico viene per attaccarlo o uccider- lo, se un amico gli grida: “Svegliati! Svegliati! C’è qualcuno che vuole ucciderti!” costui si sveglierà. Pertanto, quando tutti gli altri sensi non sono in funzione, l’udito funziona. Per comprendere Dio dobbiamo dunque usare l’udito. Dobbiamo ricevere la vibrazione sonora trascendentale, poi ne vedremo l’effetto.
YOGA DI PRIMA CLASSE
Voi, signore e signori, siete interessati ai metodi dello yoga. Il bhakti-yoga è lo yoga di prima classe. Il metodo dello yoga è presentato nel sesto capitolo della Bhagavad-gita. Si raccomanda di cercare un luogo sacro e appartato e sedersi con il collo e il corpo allineati in posizione dritta, quindi pensare a Krsna o a Visnu. Questa meditazione dev’essere fatta con grande attenzione, senza distrarsi con altri pensieri. Nel metodo yoga di Patanjali è detto, yoga indriya samyama: yoga significa controllare tutti i sensi. Se i sensi non sono controllati, la mente è instabile e se ne va di qua e di là.
La mente comanda tutti gli altri sensi. Controllare la mente, concentrandola sul Signore Supremo, è l’essenza dello yoga, ma Arjuna, dopo aver ascoltato le istruzioni di Krsna, replica: “Questo metodo è molto difficile. Non riesco a metterlo in pratica.”
Arjuna non era una persona qualsiasi, era l’amico di Krsna. Eppure afferma: “Questa pratica dello yoga, l’hatha-yoga, non è possibile per me.” Allora Krsna conclude le Sue istruzioni affermando: “Non preoccuparti. C’è un altro metodo, il bhakti-yoga, che tu puoi seguire.” Il bhakti-yoga è sintetizzato nel sesto capitolo della Bhagavad-gita (6.47): “Tra tutti gli yogi, colui che con grande fede dimora in Me, pensa a Me e Mi offre il suo servizio con amore e devozione è il più intimamente unito a Me nello yoga ed è il più elevato di tutti. Questa è la Mia opinione.” Il più alto metodo di yoga è il bhakti-yoga, cioè pensare sempre a Krsna.
Questo metodo è descritto nel settimo capitolo: “Mio caro Arjuna, devi solo trasferire i tuoi attaccamenti su di Me.” Tutti abbiamo attaccamenti. Il metodo del bhakti-yoga consiste semplicemente nel dirigere questi attaccamenti verso Krsna. Questo è tutto. Quando la mente è pienamente catturata da un crescente attaccamento per Krsna, questo è il bhakti-yoga.
Yogam yunjan mad-asrayah: “Questo metodo dev’essere praticato sotto la Mia diretta supervisione.” Ciò significa che questo metodo di yoga non è impersonale; le parole usate sono bhagavan uvaca: “Dio, la Persona Suprema, disse.” Bhagavan, la Verità Assoluta, è una persona. Molti pensano che la Verità Assoluta sia impersonale, ma non è così.
La realizzazione impersonale della Verità Assoluta è parziale. Non è una realizzazione completa. Dopo tutto, yoga significa sforzarsi per comprendere la Verità Assoluta. Yoga significa “collegarsi”, “connettersi”. Quando ci si collega con la Verità Assoluta, si realizza lo yoga. Un altro significato è “aggiungere”. Come uno più uno. Anche questo è yoga. Dio è uno e anch’io sono uno, lo yoga è quando ci colleghiamo.
Ci sono molti metodi per praticare lo yoga, ma il metodo diretto è il bhakti-yoga. Io sono una persona e Dio è una persona: l’unione tra noi è il bhakti-yoga. Bhakti è il metodo per collegarsi con Dio, la Persona Suprema.
Parlare della bhakti, che indica la via devozionale, presuppone l’esistenza del bhakta (il devoto) e di Bhagavan. Bhagavan è Dio, la Persona Suprema, e qui il bhaka è Arjuna. Bhagavan istruisce personalmente Arjuna sul metodo per comprendere la Verità Assoluta pienamente e senza dubbi. Perciò qui è detto bhagavan uvaca: “Dio, la Persona Suprema, disse.”
TRE LIVELLI DI COMPRENSIONE
La letteratura vedica afferma che la Verità Assoluta è la verità ultima. Coloro the conoscono la Verità Assoluta affermano che essa è Una, ma si realizza a tre diversi livelli di comprensione, cioè Brahman, Paramatma e Bhagavan.
Chi cerca di comprendere la Verità Assoluta con la speculazione può realizzare il Brahman impersonale. In genere i pensatori e i grandi filosofi possono comprendere il Brahman impersonale. Questi impersonalisti sono conosciuti col nome di jnani. I jnani sono persone sagge o persone la cui conoscenza spazia in tutti i campi. Essi possono comprendere l’aspetto impersonale della Verità Assoluta.
Gli yogi costituiscono un’altra categoria. Essi possono comprendere l’aspetto Paramatma della Verità Assoluta. Paramatma è l’Anima Suprema situata nel cuore di ognuno. Invece l’aspetto personale del Signore è realizzato solo dai bhakta, o devoti.
I jnani e gli yogi non possono comprendere perfettamente cos’è Dio. Dio è trascendente, sat-cit-ananda, una combinazione di eternità, conoscenza e felicità. Se si realizza la Verità Assoluta in modo parziale – per esempio l’aspetto dell’eternità – si raggiunge il livello detto brahma-jnana. Quando si è più avanzati e con la pratica dello yoga si realizza la Verità Assoluta nel Suo aspetto localizzato di Paramatma, che è presente nel cuore di tutti, si raggiunge il livello detto paramatma-jnana. L’obiettivo è uno, ma ci sono differenti gradi di comprensione. A questo proposito si può dare un esempio, quello dello splendore del sole, del globo solare e del dio del sole. Lo splendore del sole è luce e calore, il globo solare è luce e calore e dentro il globo solare c’è la personalità nota come dio del sole che è anch’esso luce e calore. La luce e il calore sono sempre presenti, ma a differenti gradi. Il calore e la luce che irradiano dal sole sono meno intensi di quelli del globo solare, e il calore e la luce del globo solare sono meno intensi di quelli del dio del sole. Quando si raggiunge il dio del sole si comprendono il calore e la luce nella loro completezza. Questa totalità è realizzata dalla parola bhagavan.
Se siete interessati a comprendere la Verità Assoluta, Dio, do- vete seguire il bhakti-yoga. Se invece volete comprendere la Verità Assoluta, ma con qualche incertezza e non completamente, dovete seguire il jnana-yoga o il dhyana-yoga.
UNA COMPRENSIONE PERFETTA
Questo Movimento per la Coscienza di Krsna ha come obiettivo la comprensione della Verità Assoluta nella Sua completezza, senza dubbi e senza imperfezioni. Il diciottesimo capitolo della Bhagavad- gita conferma che se si vuole conoscere Dio completamente e senza dubbi, si deve seguire il metodo del bhakti-yoga. “Soltanto col servizio di devozione è possibile conoscere Me, il Signore Supremo, così come sono. E quando si diventa pienamente coscienti di Me, grazie a questa devozione si può entrare nel regno di Dio.”
Lo scopo della pratica dello yoga è distaccarsi dall’atmosfera materiale per entrare in quella spirituale. Il jnana-yogi rimane attratto dall’aspetto impersonale della Verità Assoluta, il dhyana-yogi è interessato a realizzare l’aspetto localizzato della Verità Assoluta, mentre il bhakti-yogi può raggiungere subito il pianeta di Goloka Vrndavana, dove gode della compagnia di Dio in Persona in un’esistenza felice ed eterna.
Nel mondo materiale ci sono numerosi sistemi planetari. Quello in cui ci troviamo si chiama Bhurloka. Al di sopra c’è Bhuvarloka e sopra ancora ci sono Svarloka, Janaloka, Maharloka e Satyaloka. Ci sono sette livelli di sistemi planetari sopra il nostro ed altrettanti sotto. Col jnana-yoga o col dhyana-yoga, il metodo dello yoga mistico, possiamo essere ammessi ai sistemi più elevati, ma se si pratica il bhakti-yoga andremo direttamente nel mondo trascendentale e conosceremo la Persona Suprema.
Il dhyana-yogi e il jnana-yogi possono entrare nel brahmajyoti, ma là c’è sempre la possibilità di ricadere nel mondo materiale. Generalmente il jnana-yogi rimane a speculare nel mondo materiale. Il dhyana-yogi ottiene qualche potere mistico che gli permette di compiere atti eccezionali, ma ne rimane coinvolto e non riesce a raggiungere il mondo spirituale. Il bhakti-yogi, invece, lo yogi perfetto, superiore a tutti, può raggiungere direttamente il pianeta dove vive Dio.
Dio è ovunque nella Sua creazione, ma ha un pianeta speciale, Goloka Vrndavana, dove è possibile stare in Sua compagnia, proprio come io qui sto in vostra compagnia. Io vedo voi e voi vedete me.
Allo stesso modo potete andare direttamente da Dio e vederLo a tu per tu, vivere con Lui, mangiare con Lui, giocare con Lui, danzare con Lui e fare con Lui innumerevoli altre attività. Questa è la perfezione dell’esistenza.
Questa perfezione dello yoga può essere raggiunta con la pratica del bhakti-yoga sotto la guida di Dio o del Suo rappresentante autentico. Allora si potrà comprendere pienamente, e senza dubbi, la Personalità Suprema, Sri Krsna, e dopo aver lasciato questo corpo e prima o poi dovremo lasciarlo si tornerà direttamente da Lui.
Nel quarto capitolo della Bhagavad-gita Krsna spiega: “Mio caro Arjuna, colui che cerca di comprendere le ragioni della Mia apparizione in questo mondo materiale, la Mia missione e le Mie attività, diventa subito degno di raggiungere il mondo spirituale.”
Il nostro Movimento per la Coscienza di Krsna ha lo scopo di educare le persone a comprendere Krsna e tale comprensione renderà perfetta la loro vita. Vi ringrazio molto.
SINTESI DELLA GITA
di Kalakantha dasa
Nel 1968 Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada pubblicò La Bhagavad-gita così com’è, che ha venduto sino ad oggi dieci milioni di copie in dozzine di lingue. Essendo stato un devoto di Krsna per tutta la vita e un esperto in sanscrito, Srila Prabhupada spiegò in dettaglio le chiare conclusioni della Gita che spesso erano oscurate da commentatori con i loro personali punti di vista. I commenti di Srila Prabhupada illuminano per noi i dialoghi tra Krsna e Arjuna.
La seguente versione concentrata della loro storica conversazione combina punti chiave dei versi e dei commenti nella stessa sequenza di quella originale. Queste non sono citazioni dirette perciò non possono sostituirsi all’edizione completa della Bhagavad-gita così com’è. Questa versione permette, invece, una visione generale della trama filosofica della Gita.
Parte 1: azione
Arjuna: Krsna, ti prego conduci il mio carro tra i due eserciti. Lasciami vedere quali seguaci del malvagio Duryodhana sono venuti qui a combattere.
Krsna (conducendo lo splendido carro dorato tra i due enormi eserciti che si fronteggiavano sulla vasta spianata del campo di battaglia): Guarda, cugino, tutti i grandi guerrieri sono riuniti qui.
Arjuna (atterrito): Krsna, non posso combattere contro questi cari parenti, maestri e anziani. Tutta la mia famiglia verrebbe distrutta. Preferirei morire o vivere da mendicante.
Krsna (sorridendo benevolmente): Dimentichi che ognuno di loro è un’anima eterna, non un corpo materiale. Tu puoi distruggere il corpo ma non l’anima.
Arjuna: Krsna, come potrei uccidere questi venerabili uomini? Ogni vittoria sarebbe macchiata del loro sangue. Non so cosa fare. Ti prego, istruiscimi.
Krsna: Amico Mio, tu sei un guerriero. Combatti, ma non per te stesso. Combatti per il Supremo. Allora agirai come l’anima eterna che sei in realtà. Combatti tutte le varie forme di materialismo e sii uno yogi.
Arjuna: Che cosa fanno gli yogi? Come si comportano?
Krsna: Gli yogi compiono i loro doveri esterni senza attaccamento perché hanno il controllo della mente e dei sensi. Godono di una felicità interiore che la maggior parte della gente non conosce. Arjuna: Tu, Krsna, mi stai dicendo di essere felice interiormente e di combattere allo stesso tempo. Non è questa una contraddizione? Krsna: Tu non puoi vivere senza agire. Invece di agire per te stesso, trasforma quello che fai in un sacrificio per il Supremo. Allora sarai felice.
Arjuna: Cos’è questa forza che mi spinge ad agire egoisticamente? Krsna: È la lussuria, Arjuna, nata da un desiderio esasperato. La lussuria distrugge la tua capacità di pensare chiaramente. Fin dai tempi più remoti ho insegnato alle persone come usare lo yoga per conquistare la lussuria. L’ho insegnato al dio del sole, che l’ha insegnato a suo figlio, il quale a sua volta ha dato origine a una lunga catena di maestri. Nel corso del tempo, però, la conoscenza originale è andata perduta, perciò oggi, caro amico, te la insegnerò Io stesso. Arjuna: Come hai potuto istruire il dio del sole che è molto più vecchio di Te?
Krsna: I comuni corpi materiali invecchiano e muoiono, Arjuna, ma il Mio corpo è spirituale e non si deteriora mai. Di tanto in tanto appaio nella società per aiutare i buoni e debellare i malvagi. Le persone buone si liberano della loro lussuria e rivolgono verso di Me il loro amore. Esistono diversi tipi di persone e Io reciproco con ognuno di loro individualmente.
Agisci per amor Mio, Arjuna. Quando lo farai, qualsiasi cosa coinvolta il tuo lavoro, i tuoi beni, la tua conoscenza diventerà parte di un’offerta meravigliosa, di un sacrificio per il Supremo. Ci sono molti modi per offrire sacrifici, Arjuna, perciò hai bisogno di trovare un autentico guru illuminato che ti aiuti a districarti.
Agire senza attaccamento e agire per Me sono entrambe forme di yoga. Comunque, agendo per Me automaticamente agisci senza attaccamento. Ricorda che Io ti sono amico, che posseggo tutto e che ogni azione è destinata a Me. Troverai allora una pace interiore senza fine. Compi il tuo dovere nello yoga perfetto, nella perfetta unione con Me. A questo scopo potresti avvalerti delle lunghe austerità richieste dai metodi dello yoga mistico e della meditazione.
Arjuna: Tenere ferma la mente è come cercare di controllare il vento. Lo yoga mistico sembra troppo difficile per me.
Krsna: Sì, è difficile, ma è possibile.
Arjuna: Cosa succede se inizio il cammino dello yoga e poi fallisco? Sarei un perdente, materialmente e spiritualmente.
Krsna: Se fai la cosa giusta, come puoi perdere? La tua prossima vita sarà certamente migliore. Se invece impari a servirMi con amore, al momento della morte verrai da Me e lascerai questo mondo orribile.
Parte 2: devozione
Krsna: Arjuna, ascolta. Tu sei una delle rare anime che vogliono conoscere la verità. Cerca di capire questi punti: tutto proviene da Me, anche le tre influenze della natura che affliggono tutti tranne Me, il loro creatore.
Le persone materialistiche, arroganti, ottuse o falsamente sagge Mi ignorano. Le persone si rivolgono a Me quando sono curiose, bisognose, tristi o sagge.
Coloro che pensano che io sia solo un portavoce del Brahman, lo spirito senza forma, non arriveranno mai a conoscerMi personalmente. Ma le persone sagge che Mi servono verranno a Me dopo la morte.
Arjuna: Parlami di questo spirito senza forma, per favore, e anche degli esseri celesti, dell’anima, del karma, e della Tua presenza nel mio cuore. E dimmi, per favore, come Ti riconoscerò al momento della morte?
Krsna: Lo spirito senza forma, o il Brahman, è il Mio fulgore spirituale, e le anime individuali, scintille spirituali, sono composte della stessa sostanza spirituale. Per natura, le anime hanno la tendenza a servire, ma se scelgono di servire questo mondo di materia in perenne mutamento, soffrono il karma. Per quanto riguarda gli esseri celesti, li ho creati per gestire il mondo materiale. È vero Arjuna, Io sono presente nel cuore di ognuno come Anima Suprema.
Per poterti ricordare di Me al momento della morte, esercitati a pensare a Me quando combatti. In altri momenti pensa a Me come il più anziano ma anche giovane, grande e minuscolo, ma sempre come una persona, splendente come il sole. Gli yogi mistici si allenano con lunghe, profonde e meccaniche meditazioni per lasciare il corpo nel momento più adatto. Questo li aiuta ad avanzare verso di Me nel mondo spirituale – l’unico mondo libero dalla miseria della nascita e della morte – ma tu puoi arrivarci solo ricordandoti di Me. Infatti, servendo Me otterrai tutto ciò che potresti raggiungere con lo studio, l’austerità, la carità, la rinuncia e con ogni forma di religione.
Lascia che ti dica di più, Arjuna. Queste lezioni racchiudono il re del sapere, e poiché tu non sei invidioso di Me, puoi capirle. Devi solo ascoltare con fede.
Io creo l’universo e ogni cosa contenuta in esso, ma rimango un individuo, distinto dalla Mia creazione. Gli sciocchi Mi vedono come un uomo ordinario, ma le grandi anime si abbandonano a Me e Mi servono con amore. Alcuni preferiscono offrire grandi sacrifici agli esseri celesti perché sono attratti dal godimento materiale che essi possono procurare. Se qualcuno, invece, offre a Me con devozione un po’ d’acqua, un fiore o un po’ di cibo vegetariano, Io lo accetto.
Anche se fai qualche errore, ti accoglierò comunque; sono equanime con tutti, ma parziale con i Miei devoti. Sii Mio devoto e ti prometto che verrai a Me.
In breve, sappi che Io ho creato tutto. ServiMi, parla sempre di Me e sarai felice perché Io, situato nel tuo cuore, distruggerò con la torcia della conoscenza tutta l’ignoranza della tua esistenza. Arjuna: Mi piace ascoltarTi, Krsna. Sembra però che soltanto Tu possa veramente conoscere Te stesso. Come posso conoscerTi io? Krsna: Quando vedi il meglio di ogni cosa lo squalo tra i pesci o il leone tra le bestie, per esempio pensa a Me. Sappi comunque che qualsiasi meraviglia tu veda in questo mondo è solo una scintilla del Mio vero splendore.
Arjuna: Tu hai gentilmente dissipato la mia illusione. Sebbene ora Ti veda così come sei, se ritieni che io sia in grado di vederla, per favore mostrami la Tua forma nella quale Tu sei l’universo intero e anche ogni cosa all’interno di esso.
Krsna: Sì, Arjuna. Ti darò ora occhi divini per questa visione trascendentale.
Arjuna (attonito): Krsna, vedo gli imponenti essere celesti con le loro armi e gioielli, distribuiti su ogni pianeta, abbaglianti di ogni immaginabile colore. La loro sfolgorante gloria mi circonda e mi acceca. Eppure essi s’inchinano con timore davanti a Te. Tu sei davvero ogni cosa, Krsna! Tu vedi tutto con i Tuoi occhi, che sono il sole e la luna.
(terrorizzato) Ora Ti vedo schiacciare i corpi degli esseri viventi con i Tuoi terribili denti affilati. I miei parenti, i miei nemici tutti si precipitano nella Tua bocca! Perché fai questo?
Krsna: Io sono il tempo, la morte di ogni essere. Tutti questi guerrieri sono già morti, Arjuna. Combatti come se fossi la Mia arma e conquista la gloria!
Arjuna (tremando): Signore Onnipotente, m’inchino a Te da ogni lato! Ogni creatura dovrebbe glorificarTi, ma io stupidamente Ti ho trattato come un amico. Ti prego perdonami, come un padre perdona il figlio o una moglie perdona il marito. E lascia che Ti veda ancora nella Tua forma originale di Krsna.
Krsna: La Mia forma universale ti ha spaventato, Arjuna. Ora stai tranquillo. GuardaMi nella forma che ti è più cara. Neppure compiendo tutte le buone azioni possibili, una persona potrà vederMi così come sono, come Krsna. Solo con l’amore e la devozione posso essere visto veramente.
Arjuna: Mio Signore, dovrei contemplarTi come Krsna o come l’infinito spirito senza forma?
Krsna: Alcuni meditano su di Me come lo spirito senza fine. È un tipo di meditazione molto difficile, ma alla fine Mi raggiungono. Se invece pensi direttamente e Me, Io ti libero subito dall’oceano delle nascite e delle morti.
Se non riesci a pensarMi sempre, allora ascolta e canta le Mie glorie nella pratica della bhakti, lo yoga della devozione. Se non riesci a farlo, allora lavora per Me, o almeno lavora per la carità, perché il distacco porta la pace molto più della mera conoscenza.
Coloro che Mi pensano con devozione mostrano bellissime qualità, come la gentilezza, la tolleranza, la fermezza e la determinazione. Mi amano e Io li amo.
Part 3: conoscenza spirituaLe
Arjuna: Krsna, quale è la relazione tra il corpo e l’anima?
Krsna: Il corpo è come un campo d’azione per l’anima. Un’anima ordinaria interagisce con il corpo usando i sensi e sentendo emozioni come la lussuria e l’odio. Tuttavia, con l’aiuto di un guru, un’anima saggia si distacca dal corpo materiale. Tale persona è umile, equilibrata e davvero indipendente.
Come Anima Suprema, offro la Mia guida a tutte le anime, siano esse più o meno sagge. Ogni anima può scegliere tra Me e il materialismo. Quelli che scelgono il materialismo soffrono ripetute nascite e morti in differenti specie. Coloro, invece, che scelgono Me vedranno l’intera situazione l’Anima Suprema compassionevole e la condizione dell’anima spirituale avvolta nell’ottusa materia.
Lascia che ti racconti ancora qualcosa della natura materiale. Essa è formata da tre varietà o influenze: virtù, passione e ignoranza. Come un padre che dà il seme, porto la materia morta alla vita impiantandovi l’anima. Poi le tre influenze prendono il sopravvento. La virtù porta l’anima a un senso di gioia, la passione all’ambizione, e l’ignoranza alla delusione. Queste tre influenze competono per la supremazia, sbattendo te, anima eterna, da una situazione materiale a un’altra. Solo quando sei libero dal loro controllo puoi gustare la vera felicità.
Arjuna: Come può una persona superare queste tre influenze? E dopo averle sconfitte, come si comporta?
Krsna: Per superare le tre influenze e liberarti dal karma, semplice- mente amaMi e serviMi in qualsiasi circostanza. Allora mentre le tre influenze vanno e vengono, tu le osserverai senza amarle né odiarle. A quel punto avrai una calma che non potrà essere scossa e tratterai tutti equamente.
Arjuna, immagina questo mondo come un grande e antico albero baniano con rami che scendono in basso fino a diventare radici. Nessuno riesce a capire dove questo albero inizia e dove finisce. Se desideri sottrarti a questo groviglio di rami, devi tagliarli. Allora potrai entrare nella Mia dimora autoilluminata, dove non c’è bisogno della luce del sole o dell’elettricità. Quanto arriverai là, il mortale albero baniano non ti mancherà.
Io desidero che tutti raggiungano la Mia dimora, perciò Mi situo in ogni cuore come Anima Suprema e offro la Mia guida. Scrivo anche la letteratura vedica in modo che le persone possano capirMi. Esisto al di là del materialista e dell’anima illuminata. Se Mi conosci, sarai saggio e ogni cosa che farai sarà perfetta.
Ti ho accennato alle anime illuminate; esse sono oneste, pure, hanno il controllo di sè e sono distaccate. Tu sei una di loro, Arjuna, ma mi piacerebbe che ascoltassi qualcosa anche sui materialisti e sugli atei.
Tali individui demoniaci non sanno cosa fare e cosa non fare. Sono sporchi, disonesti e preoccupati solo del sesso. Credendo che la Mia creazione sia di loro proprietà, costruiscono costose e distruttive armi e si sentono potenti e orgogliosi. Le loro occasionali pretese di religione o carità sono insignificanti, perché la lussuria li rende schiavi. Incatenati al materialismo dall’avidità e dall’ira, cadono nelle specie inferiori di vita nascita dopo nascita. Le Scritture vediche, che potrebbero salvarli da tale destino, non suscitano alcun interesse in loro.
Arjuna: Cosa succede a coloro che non fanno riferimento ai Veda, ma si creano i loro personali modi di adorazione?
Krsna: La religione che è frutto dell’immaginazione è un prodotto delle tre influenze materiali. In virtù si venerano gli esseri celesti, in passione i demoni potenti, e in ignoranza i fantasmi.
Le tre influenze materiali si estendono su ogni cosa anche sul tuo cibo. Cibi succosi, grassi, integri sono in virtù; cibi amari, salati e piccanti sono in passione; cibi stantii, freddi, putridi sono in ignoranza. Influenzano anche il tipo di carità che fai e il tipo di disciplina che ti imponi. Tuttavia, non dovresti rinunciare alla carità e alla penitenza.
Arjuna: Che cosa significa, quindi, essere una persona rinunciata? Krsna: Rinuncia significa distacco dai frutti dell’azione. Chi è in virtù opera diligentemente ma rinuncia al risultato. Chi è in passione rinuncia all’azione quando diventa difficile. Chi è in ignoranza rinuncia ad agire per pigrizia e confusione.
Vedendo gli altri come anime e agendo con questa consapevolezza, sarai in virtù. Questo richiede determinazione, ma lo sforzo iniziale ti porterà in seguito alla felicità. La felicità in passione sembra splendida all’inizio ma finisce col diventare dolore. La felicità in ignoranza, come l’assunzione d’intossicanti, è amara dall’inizio alla fine.
Coloro che agiscono in virtù, i brahmana, sono spesso giudici, insegnanti o sacerdoti. Coloro che agiscono in passione, gli ksatriya, sono per lo più amministratori, poliziotti o soldati. Passione e ignoranza combinate producono i vaisya, persone d’affari o agricoltori. Coloro, invece, che sono prevalentemente nell’ignoranza sono chiamati sudra, e lavorano come artigiani, operai o servitori.
A prescindere dal tipo di attività che meglio si adatta a te, facendo il tuo lavoro per il Supremo lo trasformi in yoga e diventi illuminato. Per questa ragione è meglio fare il proprio lavoro in modo imperfetto piuttosto che fare quello di un altro in modo perfetto.
Mio caro Arjuna, ecco il riassunto finale di ciò che ti ho insegnato: servendo Me, imparerai ad agire e a vivere nella saggezza, e controllerai la mente e i sensi rinunciando ai frutti delle tue azioni. Presto gusterai la pace e l’illuminazione, raggiungerai una felicità senza precedenti e proverai apprezzamento per tutti gli esseri. In questo stato di mente raggiungerai la Mia dimora.
Pensa a Me e stai con i Miei devoti; Io sgombrerò ogni ostacolo dal tuo cammino. Se diventi egoista e pensi di poter agire da solo, sarai perso.
Tu sei un guerriero, Arjuna, e questa natura ti spingerà a combattere ad ogni costo. Combatti per Me e tornerai alla tua dimora originale, nel Mio mondo.
Ora ti ho rivelato i segreti della perfezione. Rifletti su ciò che ti ho detto, e poi fai come desideri.
Poiché tu Mi sei molto, molto caro, concluderò dicendoti questo: pensaMi sempre. Diventa Mio devoto. AdoraMi, famMi i tuoi omaggi, e tornerai a Me. Metti da parte tutti gli altri doveri, Arjuna, e sottomettiti a Me. Non preoccuparti, ti libererò dalle conseguenze di ogni errore passato.
Per favore ripeti queste Mie parole, ma solo alle persone pie. Anche questo ti assicurerà il ritorno a Me, perché nessuno Mi è più caro di chi condivide con gli altri questo messaggio. E chiunque lo ascolti con fede, senza invidia, raggiungerà i mondi dei virtuosi. Hai capito?
Arjuna (con fermezza): Infallibile Krsna, Tu hai distrutto le mie illusioni e i miei dubbi. Grazie alla Tua benevolenza ricordo chi sono veramente. Ora, seguendo le Tue istruzioni, combatterò.
IL MANTRA HARE KRISHNA
Quando qualcuno ci fa un regalo, anche il più piccolo, il minimo che possiamo fare è ringraziarlo. È questione di civiltà e buon senso. Figuriamoci allora che cosa dovremmo fare verso la Persona che ci dà la vita. Anima e corpo, respiro e cibo, gioia e conoscenza. Verso la Persona che ci sostiene e che ci vuole infinitamente bene.
È vero che a volte incontriamo anche difficoltà quando dalla vita dobbiamo imparare qualche dura lezione, ma questi sono i frutti delle nostre mancanze e dei nostri errori. Quella Persona ci ha dato il libero arbitrio, siamo noi a decidere come usarlo.
Se vogliamo allora ringranziarLa per tutto, pregarLa per qualcosa o semplicemente glorificarLa, possiamo farlo in qualsiasi modo e in qualsiasi lingua. Da Testi millenari, però, abbiamo saputo che anticamente c’era un modo con cui la gente Le parlava e otteneva buoni risultati. Infatti alcuni Suoi grandi devoti e santi confermano nelle Scritture e con il loro esempio che al Supremo piace essere chiamato così! Sarà vero?
Noi devoti di Krishna ci abbiamo provato e sappiamo se è vero o no. Se anche voi volete vedere se questo sistema funziona, ecco come fare: aprite il cuore, tranquillizzate la mente e recitate, dite o cantate a voce bassa o alta:
HARE KRISHNA HARE KRISHNA
KRISHNA KRISHNA HARE HARE
HARE RAMA HARE RAMA
RAMA RAMA HARE HARE.
BIOGRAFIA DI SUA DIVINA GRAZIA
A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada
maestro spirituale fondatore dell’Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna
A. C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada nacque a Calcutta, in India, nel 1896. Ricevette dai suoi genitori il nome di Abhay Charan De, “colui che avendo preso rifugio ai piedi di loto di Krsna ignora la paura”.
Nel 1922, dopo aver terminato i suoi studi universitari e aver partecipato attivamente al movimento non violento di Gandhi, assistette per la prima volta a una conferenza tenuta da Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati Thakura, uno dei più grandi maestri ed eruditi in materia di conoscenza vedica. Dopo la conferenza fu presentato al maestro che gli propose con grande entusiasmo di far conoscere in Occidente la filosofia della Bhagavad-gita.
Egli non poté immediatamente soddisfare quella richiesta, ma non dimenticò mai quell’incontro e dodici anni più tardi lo accettò ufficialmente come guida spirituale. Nel 1936, qualche giorno prima di lasciare questo mondo, Srila Bhaktisiddhanta gli espresse nuovamente il desiderio di vederlo trasmettere il messaggio della Bhagavad-gita ai paesi occidentali.
Mentre risiedeva ancora in India il suo maestro spirituale gli apparve spesso in sogno rinnovandogli sempre la stessa richiesta. Nel 1959, incoraggiato da uno dei suoi fratelli spirituali, decise di prendere l’ordine di rinuncia (il sannyasa) e fu in quell’occasione che il suo nome diventò A. C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada. Abbandonata ogni vita familiare e sociale, si ritirò a Vrndavana, luogo dell’avvento di Sri Krsna 5.000 anni fa, dove tradusse in inglese la Bhagavad-gita e numerosi altri testi sanscriti. Nel 1965 s’imbarcò su una nave da carico in rotta verso gli Stati Uniti; 40 rupie erano tutta la sua fortuna. Da solo, a New York, andava ogni giorno in un parco a cantare il mantra Hare Krsna. Numerosi giovani furono attratti dalla sua personalità. Cantavano con lui i mantra vedici e assistevano regolarmente ai suoi corsi di bhakti-yoga. Più tardi fondò il suo primo tempio di Krsna in un umile negozietto della Seconda Strada. Fu là che la rivista Back to Godhead, nata nel 1944 in India, riprese ad essere pubblicata regolarmente. Ben presto i suoi discepoli fondarono templi a Los Angeles, San Francisco e Montreal, e oggi il Movimento per la Coscienza di Krsna, con le sue migliaia di devoti, si è stabilito in ogni grande città del mondo.
A. C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada è considerato oggi l’autore di filosofia vedica più importante e anche il più letto al mondo. Ha pubblicato numerose opere essenziali come La Bhagavad- gita così com’è, lo Srimad-Bhagavatam, Gli insegnamenti di Sri Caitanya Mahaprabhu, Il Nettare della Devozione, Il Libro di Krsna e la Caitanya-caritamrta.
Per mantenere intatto il significato originale dei testi antichi, l’autore dà in ciascuna delle sue opere il sanscrito originale, la traduzione parola per parola e la traduzione letteraria, quindi ne spiega il contenuto alla luce degli insegnamenti millenari di maestri spirituali che appartengono a una successione (guru-parampara) che risale a Krsna stesso. Oggi i suoi libri sono considerati opere di consultazione per gli studenti di filosofia delle maggiori università del mondo.
Infaticabile, A. C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada (1896-1977) viaggiò da un capo all’altro della Terra rivolgendosi ogni giorno a un vasto pubblico, e con costanza istruì i suoi discepoli affinché a loro volta essi potessero offrire a tutti la saggezza vedica nella sua purezza originale.
Opere di sua divina grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada
TRADOTTE IN ITALIANO
La Bhagavad-gita così com’è
Srimad-Bhagavatam, Canti 1-12
Sri Caitanya-caritamrta
Gli insegnamenti di Sri Caitanya
Il nettare della devozione
Il libro di Krsna
Upadesamrta - Il nettare dell’istruzione
Sri Isopanisad
Viaggio facile verso altri pianeti
Una seconda opportunità
Incontro con il maestro spirituale
La vita di Sri Caitanya
Gli insegnamenti di Kapiladeva
Gli insegnamenti della Regina Kunti La scienza del sé (l’autorealizzazione) Viaggio alla scoperta del sé
La coscienza di Krsna: il metodo di yoga più elevato
Il messaggio di Dio
Il sentiero della perfezione
La vita viene dalla vita
La perfezione dello yoga
La coscienza di Krishna: il dono più prezioso
Una seconda opportunità
Ritorno a Krsna - rivista bimestrale (fondatore)
altre opere In Inglese
Krsna, the reservoir of pleasure Light of the Bhagavata Civilization and transcendence On the way to Krsna
Elevation to Krsna consciousness Transcendental teachings of Prahlada Maharaja Srila Prabhupada
Krsna Art
Art of Transcendence
Darsan
Ramayana
altre Pubblicazioni in Italiano
Srila Prabhupada-lilamrta
Prabhupada: un santo nel ventesimo secolo
Sri Brahma-samhita Alta cucina vegetariana Un gusto superiore
Canti degli acarya vaisnava
Finito di stampare nel mese di novembre 2011